Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 8 gennaio 2012

Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira: Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz

Disponiamo di un altro testo (Fonte: Una Vox) che approfondisce la nostra riflessione sul recente dibattito scaturito dalle affermazioni Mons. Fernando Ocáriz Braña, strettamente collegate al Preambolo dottrinale sottoposto alla FSSPX; ma di fatto riguardanti la Chiesa tutta e i gradi dell'assenso interno dovuto agli atti Magisteriali, basato sulla virtù dell'obbedienza. Il dibattito si arricchisce e si approfondisce. Siamo grati per il grande dono di poter aver accesso a questi testi che nutrono la nostra consapevolezza e la nostra fede e danno le ali alla nostra ulteriore riflessione e sintesi.

Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, è stato stretto collaboratore di Sua Eccellenza mons. Antonio de Castro Mayer Vescovo di Campos ed è Direttore della rivista teologica mensile “Catolicismo” di San Paolo del Brasile. Sono numerosi i suoi scritti sui problemi di coscienza, posti dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono scaturite, ad ogni cattolico fedele alla verità e all’autorità. Egli è anche l’autore assieme a mons. De Castro Mayer di numerosi saggi teologici sul Novus Ordo Missae di Paolo VI pubblicati in francese in un libro divenuto celeberrimo sotto il titolo “La Nouvelle Messe de Paul VI: qu’en penser?”, Chiré, 1975.


Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz

1 - L’Osservatore Romano del 2 dicembre scorso, col titolo Sull’adesione al Concilio Vaticano II, ha pubblicato un importante articolo [ne abbiamo parlato qui - qui - qui - qui - qui] di Mons. Fernando Ocáriz Braña, Vicario Generale dell’Opus Dei, uno dei periti della Santa Sede nei colloqui teologici con la Fraternità Sacerdotale San Pio X. 

L’articolo esprime in maniera esauriente la posizione dominante di quegli ambienti che accettano il Vaticano II anche in quei passi riconosciuti come contrari alla Tradizione, invocando questa o quella infallibilità del Magistero Ordinario, o l’obbligo di un “assenso interno” poggiante sulla virtù dell’obbedienza. 

Dell’assenso interno secondo Mons. Ocáriz 

2 - L’illustre prelato scrive: «Il concilio Vaticano II non definì alcun dogma, nel senso che non propose mediante atto definitivo alcuna dottrina. Tuttavia il fatto che un atto del magistero della Chiesa non sia esercitato mediante il carisma dell’infallibilità non significa che esso possa essere considerato “fallibile” nel senso che trasmetta una “dottrina provvisoria” oppure “autorevoli opinioni”. Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il “carisma della verità” (…), “rivestiti dell’autorità di Cristo” (…), “alla luce dello Spirito Santo”. Questo carisma, questa autorità e questa luce furono certamente presenti nel concilio Vaticano II; negare ciò all’intero episcopato cum Petro e sub Petro, radunato per insegnare alla Chiesa universale, sarebbe negare qualcosa dell’essenza stessa della Chiesa (…)

3 - Poco dopo, Mons. Ocáriz aggiunge: «Le affermazioni del concilio Vaticano II che ricordano verità di fede richiedono ovviamente l’adesione di fede teologale, non perché siano state insegnate da questo Concilio, ma perché già erano state insegnate infallibilmente come tali dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale. (…) Gli altri insegnamenti dottrinali del Concilio richiedono dai fedeli il grado di adesione denominato “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”. Un assenso “religioso”, quindi non fondato su motivazioni puramente razionali. Tale adesione non si configura come un atto di fede, quanto piuttosto di obbedienza, non semplicemente disciplinare, bensì radicata nella fiducia nell’assistenza divina al magistero, e perciò “nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede»” (…). Le parole di Cristo “chi ascolta voi ascolta me” (…) sono indirizzate anche ai successori degli apostoli». 

4 - Verso la fine, Mons. Ocáriz afferma: «Comunque, rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi». 

Le vie di Dio non sono le nostre 

5 - Naturalmente, Gesù Cristo potrebbe aver dato a San Pietro e ai suoi successori il carisma dell’infallibilità assoluta. Questa infallibilità, in teoria, potrebbe coprire qualsiasi pronunciamento dottrinale dei Papi e dei concilii, oltre che le decisioni canoniche, liturgiche, ecc. E potrebbe anche coprire le decisioni pastorali e amministrative. Ma il problema non consiste nel sapere se l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe possibile in linea di principio in presenza di tale potere assoluto e generale. È chiaro che lo sarebbe. Fatto sta, però, che Nostro Signore non ha voluto conferire a San Pietro, al collegio dei vescovi col Papa, in definitiva alla Chiesa, un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In sintesi: la teologia tradizionale afferma che risulta dalla Rivelazione che l’assistenza dello Spirito Santo non fu promessa, e quindi non fu assicurata, in forma così illimitata, in tutti i casi e le circostanze. 

6 - Questa assistenza garantita da Nostro Signore copre in modo assoluto le definizioni straordinarie, tanto papali quanto conciliari. Ma le grandi opere teologiche, specialmente dell’età d’argento della scolastica, insegnano che nei pronunciamenti papali e conciliari non garantiti dall’infallibilità, possono esserci errori e perfino eresie. 

La dottrina è più complessa di quanto pretenda Mons. Ocáriz 

7 - L’articolo afferma, come assoluto e incondizionato, il principio che anche gli insegnamenti non infallibili del Magistero papale o conciliare esigono necessariamente l’assenso interno del fedele. Ora, i grandi autori della neo-scolastica pongono importanti riserve a questa tesi, dimostrando che non si può assumerla, in modo semplicistico, come una regola che non ammette eccezioni. 

8 - Infatti: 
 - Diekamp dichiara che l’obbligo di aderire agli insegnamenti papali non infallibili “può incominciare a venir meno” nel caso rarissimo in cui un esperto, dopo un diligente esame, “arriva alla convinzione che nella decisione si sia introdotto un errore” (Th. Dog. Man., I, 72). 
- Pesch ammette il detto assenso “in quanto non appaia positivamente chiaro che nel decreto della Curia Romana o del Papa vi sia un errore” (Pr. Dogm., I, 314/315). 
- Merkelbach insegna che la dottrina proposta in forma non infallibile, accidentalmente e in circostanze rarissime, può ammettere la sospensione dell’assenso interno (S. Th. Mor., I, 601). 
- Hunter afferma che di fronte alle decisioni non infallibili può essere lecito “temere un errore, assentire condizionatamente o anche sospendere l’assenso” (Th. Dogm., I. 492). 
- Cartechini sostiene che l’assenso interno alle decisioni non infallibili può essere negato nel caso in cui il fedele “avendo l’evidenza che la cosa ordinata sia illecita, può sospendere l’assenso… senza timore e senza peccato” (Dall’Op. al Dom., 153-154). 
- Dom Paul Nau spiega che l’assenso può essere sospeso o negato se vi è “una precisa contraddizione tra un testo dell’enciclica e altre testimonianze della tradizione” (Une source doct., 84).

Assolutizzazione impropria della nozione di assistenza divina 

9 - Qui sta l’errore grave, gravido di conseguenze ancora più gravi e perfino gravissime, nel quale incorre l’illustre e venerabile Vicario Generale dell’Opus Dei. Egli sostiene che il Magistero, assistito dallo Spirito Santo, sarebbe in ogni caso e necessariamente immune da ogni deviazione dottrinale. Ora, come il Magistero ordinario di ogni tempo, benché assistito dallo Spirito Santo, non sempre è coperto dall’infallibilità, così il Magistero odierno, pur contando sull’assistenza divina, non per questo presenta la garanzia assoluta dell’essere esente da errore. In tal modo, alcuni insegnamenti del Magistero ordinario possono divergere dalla Tradizione, anche gravemente. Questo è quanto si deduce logicamente dalla Lettera Apostolica Tuas libenter, nella quale Pio IX espone le diverse condizioni necessarie perché il Magistero ordinario goda dell’infallibilità, condizioni che chiaramente il Vaticano I non ha rimosso nel sintetizzare questa dottrina nell’espressione “Magistero ordinario universale” (questa questione richiederebbe uno studio molto ampio, che ho intenzione di elaborare a breve). 

10 - Le nuove dottrine del Vaticano II indicate come divergenti dalla Tradizione – come la libertà religiosa, la collegialità, l’ecumenismo, ecc. – possono costituire un insegnamento diverso (si quis aliter docet – I Tim., 6, 3) senza che con questo si possa dire che l’assistenza divina dello Spirito Santo abbia fallito, né che sia stata vulnerata l’indefettibilità della Chiesa. Tutti i giorni, fino alla fine del mondo 

11 - Pertanto, non si può affermare, senza ulteriori precisazioni, l’infallibilità assoluta dei pronunciamenti papali e conciliari: né in nome di una infallibilità magisteriale, né in nome dell’obbedienza dovuta dai fedeli a Pietro, né in nome di una pretesa sicurezza nell’accettazione di tutto quanto dichiara il Magistero autentico non infallibile, né tampoco in nome di qualche altra dottrina teologica o para-teologica che si possa escogitare; la verità è che nella Rivelazione niente assicura che i pronunciamenti non infallibili possano, in questa o in quella forma, essere infallibili. Qui ripeto che le tesi dell’eminente Mons. Ocáriz si discostano dalla retta via. 

12 - Guardiamo a questa questione con la dovuta attenzione. Non v’è dubbio che vi sono dei documenti della Sede Apostolica e della teologia tradizionale che affermano, senza maggiori distinzioni, che tutti gli insegnamenti dottrinali dei papi e dei concilii devono essere accolti dai fedeli, anche se non sono infallibili e quindi anche se non sono dotati del carisma dell’infallibilità. Ma qui si introducono delle sfumature dell’ermeneutica in generale e della sacra esegesi in particolare: come non si può assumere in modo monolitico il “non uccidere” del Decalogo, perché esso comporta delle eccezioni, per esempio quella della legittima difesa, così non si può considerare assoluto il principio che si devono sempre, in ogni caso, accettare gli insegnamenti non dotati del carisma dell’infallibilità. Il prestito a interesse fu vietato, poi ammesso, passando per mille vicissitudini. I riti cinesi conobbero le stesse esitazioni. 

L’altra faccia della medaglia: il papa eretico e il papa scismatico. 

13 - Questa medaglia ha due facce. Se da un lato la dottrina tradizionale ammette la possibilità di errore nell’insegnamento non infallibile del Magistero supremo, come in effetti è ammesso inequivocabilmente, dall’altra ammette anche parallelamente, senza alcuna valenza sedevacantista, le ipotesi di un papa eretico e di un papa scismatico. 

14 - Circa il papa eretico: 
San Roberto Bellarmino, San Francesco di Sales, Suarez, Domenico Soto, Buix, Coronata e tanti altri tra i maggiori maestri della scolastica, ammettono la tesi che un papa possa cadere nell’eresia. Pietro Ballerini, il cui lavoro fu importante per la definizione dell’infallibilità nel Vaticano I, vede nell’ipotesi di un papa eretico “un pericolo imminente per la fede e tra gli altri il più grave di tutti”, di fronte al quale qualsiasi fedele può “resistergli, rifiutarlo e, se necessario, interpellarlo ed esortarlo a pentirsi”, “perché tutti possano essere messi in guardia nei suoi confronti” (De Pot. Eccl., 104/105). 

15 - Circa il papa scismatico: è incontestabile che l’età d’argento della scolastica e la neo-scolastica hanno chiarito che, in periodi di crisi profonda, è possibile in linea di principio che un papa, senza perdere immediatamente il suo incarico, si separi dalla Chiesa cadendo nello scisma. E questo accade quando il Sommo Pontefice “sovverta tutte le cerimonie ecclesiastiche”, “disobbedisca alla legge di Cristo”, “ordini qualcosa contraria al diritto naturale o divino”, “non osservi ciò che è stato ordinato universalmente dai concilii universali e dalla autorità della Sede Apostolica, soprattutto in relazione al culto divino”, “non osservi il rito universale del culto ecclesiastico”, “smetta di rispettare, ostinatamente, quanto stabilito dall’ordine comune della Chiesa”, rendendo così possibile ed eventualmente obbligatorio in coscienza “resistergli”. A tal punto che in questi casi il card. Caietano dice, sempre senza alcuna valenza sedevacantista, che “né la Chiesa sarebbe in lui, né lui nella Chiesa” (II - II, q. 39, a. 1, n. VI). 

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Sottopongo rispettosamente le presenti considerazioni al reverendissimo Vicario Generale dell’Opus Dei e, relativamente a quanto stabilisce la Chiesa, alla Sede di Pietro, colonna e fondamento della Verità, oggetto di tutto il mio amore e della mia devozione fin dal giorno in cui, congregato mariano, ho appreso a venerare la sacrosanta dottrina della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana; mentre le sottopongo ugualmente ai teologi tradizionali dei nostri giorni. 

Per le chiare ragioni che molti di essi hanno presentato, e per queste mie stesse considerazioni, ritengo che niente, in teologia dogmatica e morale, obblighi ad assentire alle nuove dottrine del Vaticano II, le quali, come dice lo stesso Mons. Ocáriz, «sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione». 
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 Fonte Una Vox, gennaio 2012

37 commenti:

don Camillo ha detto...

Questa medaglia ha due facce. Se da un lato la dottrina tradizionale ammette la possibilità di errore nell’insegnamento non infallibile del Magistero supremo, come in effetti è ammesso inequivocabilmente, dall’altra ammette anche parallelamente, senza alcuna valenza sedevacantista, le ipotesi di un papa eretico e di un papa scismatico. 
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Interessante che un vescovo Cattolico affronti questa terribile questione, riproponendo le lucide considerazioni di San Roberto Bellarmino padre del Concilio di Trento vero "defensor Fidei", considerazioni però incomplete perché manca il caso sommo di un Papa eretico e scismatico nel contempo. Ma la vera questione è un'altra che sottopongo ai lettori del Blog, chi potrebbe, anzi chi avrebbe l'autorità sulla terra per sentenziare su un Papa eretico, scismatico o eretico-scismatico?

Giampaolo ha detto...

Se non sbaglio di questo trattava la Bolla cum ex apostolatus officio, di Paolo IV. Cavallo di battaglia giuridico di certo sedevacantismo per legittimare almeno teoricamente la possibilità della "sede-vacante".

La questione presenta una stretta analogia con quanto scriveva Carl Schmitt (in teologia politica) sul potere come stato d'eccezione. Vale a dire: detiene realmente la potestas chi abbia la facoltà di dichiarare lo stato d'eccezione.

Non sono un esperto di bolle pontificie del XVI sec. né di Carl Schmitt (purtroppo) e non saprei dir di più, certo è che la questione di Giovenale: quis custodiet ipsos custodes? è sempre aperta, in prospettiva meramente umana, non lo è se apriamo gli occhi allo sguardo praeternaturale, davvero confidenti che non praevalebunt, e che, per quanto ci possa sembrare che la barca di Pietro affondi, solo in Essa vi sarà la Salvezza.

Marco Marchesini ha detto...

Bellissimo articolo.
Studiando gli atti di Magistero ad un certo punto arrivai ad un problema: si parla sempre di contraddizioni tra Magistero dopo il 1965 e Magistero prima del 1965 considerato come un blocco unitario.
Nel Magistero non infallibile prima del 1965 ci sono stati casi di errori e di contraddizioni con la retta dottrina?
Trovai un punto in cui mi sembrava davvero di avere trovato questa contraddizione, ma mi sbagliavo. Posi una domanda a Don Curzio che rispose con un articolo davvero ben fatto:

http://www.doncurzionitoglia.com/innocenzo4_pio12_e_tortura.htm


Quando si parla di errori di Magistero, di contraddizioni con la retta dottrina sempre si parla del Magistero conciliare e post-conciliare. Lì davvero il problema è drammatico.

Saluti.
Marco Marchesini

Anonimo ha detto...

Sarebbe per me importante sciogliere un mio dubbio. Leggendo l'intervista a Mons. Gherardini, pubblicata in questo blog il 21/10 u. s., ho notato che egli giustifica il mutamento, a tutti evidente, dei pronuncimenti della Chiesa su prestito ad interesse, guerra e pena di morte, sulla base del fatto che questi non sarebbero dogmi. Ciò è vero, ma mi pare che l'infallibilità della Chiesa riguardi anche la morale, che evidentemente ha attinenza ai temi suddetti. C'è qualcuno che può rispondere, cortesemente? Mutando opinione, la Chiesa non ha con ciò, già prima del Vaticano II, acconsentito allo "spirito del mondo"? Grazie, Marco

Anonimo ha detto...

Riprendo le parole di Mons. Gherardini, dalle quali devo dedurre che le questioni in discorso non sono state mai definite in forma dogmatica:

E’ vero, ci furono e potranno sempre esserci forme concrete d’insegnamenti legati al tempo e alle sue particolari problematiche. Gli esempi addotti – il prestito, la pena di morte, la guerra ed altro ancora – furon effettivamente oggetto d’interventi magisteriali che, in processo di tempo, vennero o modificati fin al loro contrario, o negati. Mi si chiede con quale criterio; la risposta mi sembra intuitiva: perché si tratta d’insegnamenti non dogmatici, che tali non potranno mai diventare in base al fatto che, fin dal IV sec. con san Cirillo Gerosolimitano e san Gregorio Nisseno, per dogma s’intende una verità di fede definita. Una di quelle, cioè, che la Chiesa dichiara contenute nel sacro deposito delle verità rivelate ed ininterrottamente presenti nella Tradizione ecclesiale e definisce perciò come verità della Fede cattolica, “di per sé irriformabili” e dogmaticamente obbligatorie per ogni cattolico.

Del resto, se non erro, la cosiddetta "dottrina sociale" della Chiesa risulta inserita tra le discipline teologiche, come formulazione di risultati frutto di riflessione sulle realtà umane, a partire dalla Rerum Novarum. Successivamente mi vengono in mente, oltre alla Gaudium et Spes in cui credo si possano trovare riferimenti, la Populorum progressio, l'Octogesima adveniens, la Sollicitudo rei socialis

In ogni caso, dalle parole di Mons. Gherardini, delle quali non si ha motivo di dubitare, devo dedurre che le precedenti prescrizioni ecclesiali nelle materie da lei ricordate non avessero natura dogmatica.

Tuttavia, attingendo ai testi biblici, la Chiesa non ha mai stornato l’attenzione dalla liberazione dell’uomo, dalla retribuzione dei salariati, dalla protezione dei poveri e dalla giustizia civile.

Occorrerebbe uno studio ad hoc e la consultazione di testi specialistici per meglio approfondire i punti specifici.

Anonimo ha detto...

Grazie della Sua risposta. Rimangono pero' due problemi:
1) La Chiesa è infallibile anche in morale: perchè l'aborto non è mai permesso, e l'interesse sì, peraltro dopo pronunciamenti contrari?
2) Vi sono dei passi nell'AT che proibiscono l'interesse (senza contare S. Tommaso); questo significa che la Chiesa, contro la Scrittura, si sarebbe adattata al mondo?
3) Vi sarebbero, se la mia fonte è nel giusto, dei canoni di Concili che proibirebbero la pena di morte. Su questo, pero', non sono sicuro, mentre i pp. 1 e 2 sono certi.
Grazie e cordiali saluti,
Marco

Giampaolo ha detto...

Per quel che capii a suo tempo sulla questioen del prestito ad interesse posso dire questo.

Esso è sempre stato condannato fino a che la moneta è stata considerata un solo bene strumentale. Quando le economie hanno cominciato a valutarla un "bene in sé" (e qui si aprirebbe un capitolo sterminato sulla legittimità di economie siffatte) è mutato anche l'atteggiamento nei confronti del denaro.

In sintesi: nel passaggio dalla moneta intesa come solo mezzo di scambio alla moneta capitale si è realizzato un cambio di paradigma che ha influenzato le valutazioni morali sul suo utilizzo.

Detto molto all'ingrosso e approssimativamente

Gederson ha detto...

Carissimi,

A proposito di "Assolutizzazione impropria della nozione di assistenza divina", qua in Brasile fa poco tempo, io ho dibattito con alcuni sedevacantisti circa della Epistula Cum Iam di Paolo VI dove lui afferma:

"Nell'unità bisogno, in dubbio, la libertà, a tutti, la carità. Prima di tutto, l'unità è necessaria in tutti religiosamente salvare l'insegnamento trasmesso dal Concilio. Che, essendo approvate dalla autorità di un sinodo ecumenico, appartiene già al magistero della Chiesa e in aggiunta, per quanto riguarda la fede e la morale, è una regola prossima e universale di verità, che non è mai permesso di teologi si differenziano per il perseguimento dei loro studi. Cum Iam - Paolo VI

I sedevacantiti hanno difeso atraverso queste parolle di Paolo VI, che lui aveva la intenzione di obligare i fedeli a accettare il concilio. Ma questo documento é solo una Epistula, non ha nessuna autorità al di fuori del fine a cui essa si applica. Tuttavia Paolo VI parla in questo documento con la autorità de una Bolla (per esempio).

Cosí con Costituzione Dommatica del Concilio, se espressa a piccola intenzione pastorale, e con Epistula (il documento di minore autorità)se espressa intenzione di fede. Questo é troppo strano, perchè massimizza il minimo di autorità e, dall'altro, riduce al minimo anche la più alta autorità. Si tratta di una totale sproporzione tra l'autorità e l'intenzione, che è anche una "Assolutizzazione impropria della nozione di assistenza divina". Non lo so, ma qualcuno sa se ​​i documenti della Chiesa, sono stati utilizzati in questo modo, prima del Vaticano II?

Giampaolo ha detto...

Caro Gederson,

nell'archivio Vaticano l'unica Epistola Apostolica che inizia con Cum Iam è di Pio XII (1951) ed è relativa alla memoria della consacrazione al cuore immacolato di Maria della Polonia

http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/apost_letters/documents/hf_p-xii_apl_19510901_cum-iam_lt.html

Marco Marchesini ha detto...

La Chiesa non ha mai condannato la pena di morte, né ieri, né oggi. Non ho presente i canoni che proibirebbero la pena di morte.
Anche l'usura è condannata oggi come ieri, però attualmente il denaro anziché essere un bene di consumo è un bene fruttifero. Sui beni di consumo il prestito ad interesse non è lecito. Sui beni fruttiferi l'interesse serve a coprire la mancata rendita.


Oltre a quella segnalata a Don Curzio mi erano venute in mente due questioni su apparenti contraddizioni del Magistero:

1) La materia degli Ordini Maggiori è la consegna degli strumenti (Bolla di unione con gli Armeni "Exsultate Deo", Concilio di Firenze e Catechismo Romano), oppure l'imposizione delle mani (Costituzione Apostolica SACRAMENTUM ORDINIS di Papa Pio XII ), oppure tutti e due?

2) I decreti del Concilio di Costanza "Haec Sancta",del 30 marzo 1415 e "Frequens" del 9 ottobre 1417 che sembrano insegnare l'eresia del conciliarismo confrontati con tutta la dottrina posteriore.

In realtà per il primo punto il Magistero di Papa Pio XII non è in contraddizione con il decreto del Concilio di Firenze il quale ha avuto valore disciplinare per gli orientali e non era una dicharazione dottrinale.
Oppure secondo altri autori approvati la Chiesa ha il potere di aggiungere / mutare la materia del Sacramento dell'Ordine. In tal caso si può avere nella storia materia differente per la validità del Sacramento dell'Ordine.

Per il secondo punto basta dire che i decreti del Concilio di Costanza, tendenti al conciliarismo, erano provvisori e straordiari per il periodo difficile in cui non era certo quale fosse il vero Papa, non dottrinali valevoli per sempre.


Prego i più esperti di correggermi se ho detto inesattezze.
Marco Marchesini

Dante Pastorelli ha detto...

Per alcuni sacramenti, insegnava un tempo la sana teologia, Gesù non ha designato espressamente la materia e la forma, come invece ha fatto chiaramente per il Battesimo e L'Eucaristia, "usque ad infimam speciem", sino all'ultima particolarità. L'istituzione rimase un po' nel generico nell'indicazione della materia e della forma, segno che Cristo volle lasciare all'Autorità della Chiesa da Lui istituita il compito di meglio specificarle. E per questo nel corso dei secoli dalla Chiesa è stato ritenuto opportuno introdure riti e preghiere per metter meglio in risalto l'efficacia del sacramento già contenuta nel rito essenziale.

don Camillo ha detto...

Riguardo la specifica faccenda sugli appigli magisteriale per giustificare la sedevacanza, ebbene il maggior esperto è e rimane don Curzio, il quale prudentemente cerca di confutare il sedevacantismo su basi più filosofiche teologiche che semplicemente magisteriali. Comunque rimando al suo sito e sulle confutazioni al sedevacantismo diciamo puro, con la sua ipotesi di "sedevacantismo mitigato accettabile da tutti" ne Ipotesi di Velletri.

Ora penso che sia assolutamente inutile soffermarci su queste questioni, il sedevacantismo è un modo apparente per pacificarsi difronte a tanto orrore e tanta contraddizione ecclesiale. Dobbiamo accettare questa realtà dolorosa e crocifiggente certi che le cose cambieranno, perché cambieranno!!!

Giampaolo ha detto...

Sto giusto leggendo l'apologia della Tradizione del Prof. de Mattei, che nella prima parte del testo passa in rassegna la storia della Chiesa con particolare attenzione ai suoi capitoli più torbidi: papati indegni, eresie propalate se non dalla massima sede, da questa comunque fomentate, concili invalidi etc. Una vera e propria galleria degli orrori.

La domanda che ci si pone quindi è: dov'era lo Spirito in quei tempi? E la risposta varia a seconda delle situazioni, chiaramente, ma sempre Quello spirava. Ad esempio, in corrispondenza della grave crisi dell'XI secolo, che vide tra papi contemporaneamente disputarsi il soglio pontificio, screditando la cattedra di Pietro come mai sino ad allora, più a nord sorgeva da Cluny la rinascita monastica che tanta santità porterà alla Chiesa, risollevandone le sorti, che ad occhio umano erano irrimediabilmente segnate.

Questo per dire che la sede-vacante è un errore di prospettiva e di fede. Anche quando si verificasse che le sede venga occupata indegnamente, se ciò è permesso dal Signore, un qualche significato più profondo ha da esserci per forza.
I padri leggevano in queste tragedie un castigo di Dio per i peccati della cristianità.
Parafrasando Hölderlin: dove c'è il pericolo c'è sempre anche la salvezza. Se c'è il castigo c'è anche la possibilità di espiare.

Gederson Falcometa ha detto...

Caro Giampaolo,

la Cum Iam di Paolo VI, è solo una Epistula in latino:

"In primis unitas necessaria est in doctrina universa a Concilio tradita religiose servanda. Quae, cum Oecumenicae Synodi auctoritate sit comprobata, ad magisterium ecclesiasticum iam pertinet; ac propterea, ad fidem et mores quod attinet, norma proxima et universalis veritatis exsistit, a qua theologis viris in suis peragendis studiis numquam discedere fas est. In eadem autem doctrina aestimanda atque interpretanda, cavendum est, ne quis eam a reliquo sacro doctrinae Ecclesiae patrimonio disiungat, quasi inter haec discrimen aut oppositio intercedere possit. At vero, quaecumque a Concilio Vaticano II docentur, arcto nexu cohaerent cum magisterio ecclesiastico superioris aetatis, cuius continuatio, explicatio atque incrementum sunt dicenda". Epistula Cum Iam Paolo VI - http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/letters/1966/documents/hf_p-vi_let_19660921_cum-iam_lt.html

L'epistola è indirizzata al cardinale Pizzardo, nel corso di una conferenza sul Concilio Vaticano II.

Un Saluto dal Brasile

Anonimo ha detto...

Caro Giampaolo,
è proprio come dici.

Mi fai venire in mente le parole di Mons. Gherardini quando parla della odierna passio ecclesiae

Di tutte queste storture e devianze e ribellioni s'intesse, sì, la passio Ecclesiae, ma è una passione che non s'identifica mistericamente con quella di Cristo, non arricchisce e non dilata la Chiesa come il sangue dei martiri. La mortifica, anzi la strozza, le rifila l'aria che dovrebbe respirare, la riduce al rantolo. Contro questa passio, pertanto, occorre prender posizione, essa va neutralizzata, e l'unica maniera per farlo è quella d'una fedeltà a tutta prova: la fedeltà dei santi.

credo che l'unico modo per trasformarla in passio feconda sia quello di inserire la nostra impotenza e la nostra sofferenza e povertà di questo tempo nel Calice del Sangue di Cristo ed in Lui offrirla al Padre. Ed è così che anche il rantolo e il gemito della Chiesa militante - oggi come ieri e come sempre - diventa preghiera e supplica, offerta e affidamento, espiazione e impetrazione e, in Cristo Signore, può salire fino al Trono dell'Altissimo!

E' così che ne parla con accenti insuperabili il nostro Gherardini:

Ho peraltro accennato, poco sopra, ad una causa quasi metafisica della passio Ecclesiae ed irriducibile per questo ad uno qualunque dei comportamenti umani. Essa nasce dalla sacramentale identità del Cristo fisico e del Cristo mistico e prolunga l'epopea del Golgota nel tempo del già e non ancora: la Chiesa è per questo il Christus patiens. Gli aggettivi “sacramentale” e “misterico”, cui faccio ricorso per qualificare l'identificarsi della Chiesa in Cristo e di Cristo nella Chiesa, portan il discorso sul piano dell'analogia, ancorché ontologicamente fondata. Non si tratta, infatti, di una identità assoluta, ma d'una continuità che il linguaggio dei Padri e della liturgia definisce in mysterio, e quindi di una repraesentatio della Chiesa come continua Christi incarnatio. In particolare d'un rapporto che riproduce nella Chiesa una cristoconformità tale da conferirle quella medesima “immagine del Dio invisibile” che Col 1,15 predica del Verbo incarnato ed in base alla quale la Chiesa ha, del Verbo incarnato, la forma storica d'un amore che si dona fino al sacrificio supremo di sé. La detta repraesentatio non è, dunque, una rappresentazione, se mai è una “ri-presentazione”, o meglio un'assimilazione di due soggetti fin al loro sacramentale ed unificante incontro. Sta qui la ragione per la quale la Chiesa è il Christus patiens, non il Christus passus: rivive nell'attimo che fugge la realtà stessa del Redentore, del Mediatore unico tra Dio e gli uomini, del Rivelatore fedele e qui si radica l'espressione “fuori della Chiesa non c'è salvezza”, oggi superficialmente contestata.
Commossi, pertanto, fin alle lacrime, ci mettiamo nelle braccia di questa chiesa, per aver accesso, attraverso la sua stessa passio, alla passio salvifica di Cristo..

lonewolfe ha detto...

Vorrei chiedere a Mic da quale testo ha tratto questa mirabile citazione di Gherardini. Che coglie nel segno, restituendo pregnanza e attendibilità all’assunto ‘fuori della Chiesa non v’è salvezza’. E tuttavia la questione resta ( per me ovviamente) problematica. Perché se l’antidoto all’asfissia della passio spuria che si nutre di peccato è la santità, la fedeltà dei santi, mi chiedo: fedeltà a quale chiesa, come, storicamente, concretamente per quale via?

Il problema che s’impone è riconoscere il vero volto della chiesa, la Sua cristoconformità, ‘immagine del Dio invisibile’. Un problema che esige una risposta certa, oggettiva, che valichi i confini della coscienza individuale. Se nella chiesa è oggi estremamente difficile, a occhio nudo per così dire, distinguere il vero dal falso, come può un fedele qualsiasi ‘prendere posizione’ contro la passio ecclesiae che strozza e mortifica la verità?

Nel clima di sospetto che ci induce a riflettere persino sulla possibilità di eresia di un pontefice, o di una intera classe dirigente della chiesa, i semplici fedeli possono essere in grado di ‘prendere posizione’? I teologi forse, gli addetti ai lavori, ma quelli come me? Posso ritenere il mio sensus fidei al di sopra di quel sospetto? Posso ritenerlo criterio sufficiente di giudizio, barriera affidabile contro gli errori di cui è intessuta la chiesa oggi? Temo di no, ho bisogno della Chiesa per poterla riconoscere con certezza come sola via alla salvezza. E’ un’aporia di fatto, che lascio in un cantiere remoto della mia coscienza. Nel frattempo oggi fedeltà è per me arrendersi al non senso e perseverare nonostante tutto nella sequela di Cristo. Nelle braccia di questa chiesa.

PS- approfitto di questa incursione per ringraziare Mic per la fiducia che mi accorda ospitando anche me senza riserve.

Amicus ha detto...

Vedo adesso che sul blog di Messainlatino hanno cancellato questo studio di Xavier da Silveira che avevano pubblicato ieri. Avranno ricevuto un 'cicchetto' dai neomodernisti dei piani alti? Se questi sono i 'tradizionalisti',siamo a cavallo...

Marco Marchesini ha detto...

E come tu dici Dante.
Quando chiesi a Don Mauro Tranquillo delucidazioni sull'argomento mi rispose:

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Quanto alla questione della materia degli ordini maggiori, la questione è largamente da F. Cappello. Tractatus de Sacramentis - vol.IV De sacra ordinatione, Marietti 1951, un classico della materia.
Le riassumo in breve la questione: Pio XII specifica che le disposizione della sua Costituzione "vim retroactivam non habent": cioè da quel momento in poi si deve considerare materia degli ordini maggiori la sola imposizione della mani, e regolarsi di conseguenza nei casi pratici di dubbio. Tuttavia non intende dirimere la questione teorica dibattuta da secoli. Ne conseguono sostanzialmente due possibilità, entrambe ammissibili perché su materia non definita:
a) la materia fu sempre e solo l'imposizione delle mani (per istituzione divina), il decreto del Concilio di Firenze essendo un atto disciplinare. Tale tesi fu tenuta sempre da autori approvati dalla Chiesa anche dopo il Concilio fiorentino stesso, né fu imposto a tutti gli orientali che si convertivano (anche nei secoli seguenti) di mutare i loro riti e adottare la tradizione degli strumenti, né furono riordinati gli orientali che non avevano ricevuto la tradizione degli strumenti; segno che con tale decreto non si intendeva imporre una dottrina rivelata ma chiedere un'unità disciplinare. Tale tesi appunto fu così liberamente sostenuta da autori approvati, evidente segno che il decreto di Firenze non era inteso come definizione.
b) la Chiesa ha il potere di mutare la materia degli ordini maggiori, quindi attualmente è la sola imposizione delle mani, ma in passato le cose hanno potuto essere diverse (doppia materia, sola tradizione degli strumenti, etc.: tutte tesi tenute da autori cattolici e anche da Dottori della Chiesa prima del decreto di Pio XII, e che quanto al passato quindi sono tuttora di libera discussione). In tal caso il decreto di Firenze fotograferebbe la situazione disciplinare romana (imposta ad alcuni orientali) di quell'epoca.

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Giampaolo, non ho letto il libro del De Mattei, tuttavia in sintesi vi sono menzionate altre questioni oltre a quelli citate in questo thread?

Marco Marchesini

Anonimo ha detto...

Vedo adesso che sul blog di Messainlatino hanno cancellato questo studio di Xavier da Silveira che avevano pubblicato ieri.

Strano, ed è un peccato, perché vi avevo letto dei commenti di Giampaolo da incorniciare, che avevano 'steso' Simone de C. e un ospite superficiale ma arrogante, il quale tuttavia aveva offerto spunti per affermazioni e riflessioni interessantissime, puntuali nonché cattoliche doc.

Anonimo ha detto...

Cara Jo,
puoi trovare il testo intero qui.

E' un intervento fatto in un Convegno a S. Marino.

Sono felice di incontrarti anche qui e ogni tua riflessione è sempre di aiuto e approfondimento.
Anche questa ultima, che non ho il tempo ora di approfondire.
Ti prometto che ti risponderò presto :)

don Camillo ha detto...

Si spreca tempo in MiL, si donano riflessioni profonde per poi vederle miseramente cancellate. Sì mi spiace per le riflessioni di Giampaolo, il quale prego di postarle,se le ha conservate, qui da noi.

Dante Pastorelli ha detto...

Atti degli Apostoli,
6,6:"Presentarono poi questi sette uomini i quali pregarono e stesero le mani sopra di loro".
13,3 "Allora, dopo aver digiunato e pregato , stesero le mani su di loto"..."
II TIM, 1,6:"Per questo ti raccomando di tener vivo in te quel dono di Dio che hai ricevuto quando io ho posto le mie mani sul tuo capo".

Questa è la materia. Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis del 1948 solennemente afferma che l'essenza del Sacramento è costituita dall'imposizione delle mani e dalla preghiera che ne specifica il significato. Volle così tornare alla semplicità delle ordinazioni successive all'Ascensione. Tuitte le altre cerimonie, per quanto suggestive, erano complementari

don gianluigi ha detto...

Anch'io mi sono accorto che MiL ha cancellato questo intervento di Vidal Xavier da Silveira. Sinceramente non ho trovato la motivazione, mi sembra poco corretto per coloro, me compreso che hanno cercato di postare commenti ragionati e pacati.
Memo male che ritrovo qui alcune delle persone che sono intervenute anche là e che possono esprimersi senza essere insultate.

lonewolfe ha detto...

Mic, il link aggiunge quanto basta, grazie.

Anonimo ha detto...

Dante, e voi amici,
che ne pensate della nuova formula delle ordinazioni sacerdotali?
"ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio...", rispetto a: "ricevi il potere di offrire il sacrificio".

Quando l'ho chiesto a padre Kramer, mi ha risposto: "noi non siamo rubricisti. L'importante è l'interpretazione della Chiesa". L'ho chiusa lì anche perché il contesto non mi permetteva di insistere; ma mi è rimasto un interrogativo: se c'è bisogno di interpretazione, come non pensare quanto meno ad un'ambiguità della formula?

Non è nemmeno troppo difficile collegare la nuova formula alla nuova ecclesiologia che vede l'Assemblea (insieme al Presidente) protagonista: il sacerdote non è l'officiante in persona Christi, ma colui che riceve le offerte del popolo santo? Ma poi "le offerte del popolo santo", non distolgono l'attenzione, e quindi diluiscono fino a farla scomparire nel tempo, dall'"Hostia pura santa e immacolata" velata dalle sacre specie, che fin dall'inizio, in un crescendo mirabile, nella S. Messa usus antiquior il Sacerdote presenta al Padre?

Non è il tutto collegato anche alla berakàh al posto dell'Offertorio?

Potrei continuare, ma questo è l'essenziale...

Anonimo ha detto...

Cara Jo,
del tuo scritto mi aveva colpito la testimonianza sull'impatto della situazione che viviamo sull'anima e la coscienza dei fedeli comuni, che siamo tutti noi.
Certo, le parole di Mons. Gherardini e la sua commossa e forte conclusione, ci danno una risposta ben chiara e tutta da vivere; ma mi pareva importante sottolineare la difficoltà, che resta cocente e dura, per chi non ha accesso alle fonti 'pure' e limpide della Tradizione.

Giampaolo ha detto...

Caro Marco,

il libro è diviso in due parti sostanzialmente: la Chiesa militante nelle ore più difficili della sua storia, e la "regula fidei" della Chiesa nelle epoche di crisi della fede.

La prima parte è una sorta di antologia di momenti critici e decisamente ingloriosi di storia della Chiesa a partire fondamentalmente da due opere quella del Card Hergenroether, Storia universale della Chiesa e il celebre Pastor, Geschichte der Päpste.

La seconda parte invece traccia la storia della nozione di Magistero, notando come sia tutto sommato recente, e come di fatto da quelle situazioni storicamente catastrofiche l'unica e sempre valida ricetta fosse il ritorno alla Tradizione.

A questo proposito, però, devo dire che la nozione di Tradizione, che è il soggetto reale di tutto il libro, non è definita e approfondita con la solita acribia. Da questo punto di vista è molto più soddisfacente il testo di Mons. Gherardini, quod et tradidi vobis.

Non ho capito il perché della soppressione del thread legato all'articolo di Silveira su MIL, articolo che a me pare ben fatto, al di là che lo si condivida in toto o in parte o punto nulla.
Poco male comunque, resta qui ad imperitura memoria ;)
Vi ringrazio per gli immeritati elogi per quel che ho scarabocchiato là, ma non vale davvero la pena di riprendere quel carteggio, alla fine le posizioni si ripetevano sostanzialmente con qualche mutazione di forma, ma niente di più. L'articolo è più importante delle glosse.

Cordialità

don Camillo ha detto...

Ma, più che collegarla alla berakah, pasquale-domestica-sinagogale-farisaica (assolutamente inconciliabile con il Sacrificio Cattolico), la formula "ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio", la collegherei più al culto quotidiano sacrificale-templare che dopo la distruzione del Tempio si è concluso per sempre. Siccome il culto Cattolico è compimento del culto Sacrificale Templare ebraico che (insieme al culto pagano-sacrificale) era solo figura e anticipo, in se assolutamente incompleto e incompletabile, il modificare la preghiera non è solamente inutile, ma è da considerarsi insieme alle tante modifiche improprie una regressione giudaizzante del culto Cattolico, perfetto ed esatto in se fino al 1952 (vigilia della catastrofica "nuova" settimana Santa sperimentale della buona anima di Pio XII).

Detto ciò, non credo che questa "forma" si possa considerare invalida in se, magari non è stata opportuna, è brutta, in ogni modo è ben evidenziato il ruolo del Sacerdote che è chiamato principalmente a SACRIFICARE! quindi la "forma" c'è!

Diverso a mio avviso è la Consacrazione Episcopale, ma per avere un parere veramente qualificato sulla sacramentaria dovremmo chiedere a don Mauro Tranquillo vero esperto (non me ne voglia il mite padre Kramer) e vanto italiano benemerita FSSPX.

Dante Pastorelli ha detto...

Ai cambiamenti di riti e formule in via di principio son contrario. Così com'è presentata la differenza tra le formule giustifica i dubbi di MIC che sono (e furono) anche i miei. La formula tradizionale è ben più esplicita e certi cedimenti all'assemblearismo non sfuggono facilmente.
Tuttavia, reputo opportuno non isolare la singola frase dal suo contesto, ed in questo la consacrazione dall'alto mi sembra chiara, così come la consacrazione per l'effusione dello Spirito Santo.

La risposta del buon p. Kramer, che conobbi seminarista e diacono a Gricigliano e che poi sparì di circolazione dopo esser stato inviato in Africa a far esperienza (ricordo benissimo la sua paura che a nessuno nascondeva ed a nulla valsero i miei incoraggiamenti) mi sembra assai superficiale. Strano, era una persona molto colta, già laureato ed insegnante quando entrò in seminario. A parte la sua paura, ne conservo un ricordo positivo.

don gianluigi ha detto...

Anch'io mi rammarico della soppressione del thread in MiL dedicato a questo articolo e ringrazio Giampaolo per le sue esposizioni chiare e pacate.

Marco Marchesini ha detto...

Dante, i passi da te citati sono chiari nell'indicare la materia dell'Ordine con l'imposizione della mani, tuttavia esistono anche brani del Magistero che affermano che tale materia è la consegna degli strumenti:

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Catechismo Romano:

276 L'Ordine è un vero sacramento


II santo Concilio Tridentino provò che la sacra Ordinazione deve essere annoverata fra gli altri sacramenti della Chiesa con l'argomento spesso ripetuto: se il sacramento è un segno di cosa sacra e se quanto viene esternamente operato con tale consacrazione esprime la grazia e la potestà conferite al consacrato, ne segue evidentemente che l'Ordine è un vero e proprio sacramento. Perciò il vescovo, presentando all'ordinando il calice con vino e acqua e la patena con il pane, dice: "Ricevi il potere di offrire il sacrificio". La Chiesa insegnò sempre che con simili parole, mentre viene presentata la materia, è conferita la potestà di consacrare l'Eucaristia ed è impresso nell'anima il carattere, al quale è connessa la grazia necessaria al compimento valido e legittimo del rito.

Bolla di unione con gli Armeni "Exsultate Deo", Concilio di Firenze

DS 1326

1326 701 Sextum est sacramentum ordinis, cuius materia est illud, per cuius traditionem confertur ordo: sicut presbyteratus traditur per calicis cum vino et patenae cum pane porrectionem; diaconatus vero per libri Evangeliorum dationem; subdiaconatus vero per calicis vacui cum patena vacua superposita traditionem et similiter de aliis per rerum ad ministeria sua pertinentium assignationem. Forma sacerdotii talis est: 'Accipe potestatem offerendi sacrificium in Ecclesia pro vivis et mortuis, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti'. Et sic de aliorum ordinum formis, prout in Pontificali Romano late continetur. Ordinarius minister huius sacramenti est episcopus. Effectus augmentum gratiae, ut quis sit idoneus Christi minister.

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Per questo avevo chiesto a Don Mauro Tranquillo dei chiarimenti.

Marco Marchesini

Eruanten ha detto...

Non intervengo nel merito del post e dei commenti in quanto ignorante in materia, ma colgo l'occasione per ringraziarvi di cuore per tutto ciò che avete scritto.

Mic la "patente" di collaboratore del tuo bel blog, che accetto molto volentieri, richiede qualcosa di specifico o semplicemente ti permette di controllare meglio chi interviene?

Matteo

Anonimo ha detto...

Caro Matteo,
sono stata costretta ad inserire la moderazione perché il blog era stato preso sempre più di mira dai disturbatori e dagli arroganti.
Perciò, dopo aver fatto una bella pulizia, ho approfittato della funzione che permette ai collaboratori sicuri di accedere direttamente senza passare attraverso la moderazione.
La 'patente' non ve l'ho data io, ce l'avevate già :)

Dante Pastorelli ha detto...

Sì, Marco avevo capito il motivo delle tue richieste. Ma, come annota il grande domenicano p.Tito Centi, i padri di Trento si fecero prender la mano dai teologi scolastici ignorando la più antica e lunga tradizione ripresa poi da Pio XII. E quest'ultimo usa parole definitive, quando afferma che se nel corso del tempo la consegna degli strumenti sono stati considerati essenziali al fine della validità del sacramento, la Chiesa può abrogare norme e riformulare i riti. Inoltre, come può leggersi anche nell'Enciclopedia Cattolica, teologi di fama ritengono che Eugenio IV non intese pronunciarsi in modo definitivo ma presentare agli Armeni le modalità più diffuse, a partire dall' XI secolo nel rito occidentale, visto che gli Armeni avevan introdotto la consegna degli strumenti a partire dal XII sec.

Anonimo ha detto...

Per Matteo,
dimenticavo di dirti che, volendo, avete la possibilità di inserire articoli. Se ti interessa e hai problemi tecnici, possiamo parlarne.

Anonimo ha detto...

Mic,

Confermano quello che tu hai detto, su la nuova formula:

1) Consacrazione ad alta voce (narrativa);
2) Consacrazione verso il popolo ("Versus Populum" e non "Versus Deum");
3) Applicazione dei principi democratici nella Chiesa; se il popolo è sovrano, allora Cristo è in lui (e non presso l'altare, che non esiste nel NOM).

Anche nella vostra risposta, lei ha citato il berakàh ebraico. Il fatto che il nuovo rito si celebri in una tavola, non ce l'origine esattamente, nella la Pasqua dei Giudei?

Eruanten ha detto...

Grazie mic per le risposte. :)
Scusa il ritardo ma son impegnato con la tesi di laurea.
Buona giornata!