Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 30 luglio 2012

Gli errori e gli orrori modernisti inquinano anche il nuovo Ordinariato Anglicano degli Stati Uniti

Riprendo questa notizia, alla quale anche Rorate Caeli sta dando risalto, dal sito The Anglo Catholic.
Qui è leggibile dal Sito dell'Ordinariato il documento originale.

In una recente dichiarazione di Monsignor Jeffrey Steenson (Ordinario dell'Ordinariato Anglicano degli Stati Uniti):
« Abbiamo quindi chiesto che le congregazioni dell'Ordinariato seguano questa direttiva Alcuni dei nostri sacerdoti vogliono imparare anche come celebrare secondo la forma straordinaria del Rito Romano. Essi sono certamente incoraggiati a farlo, secondo le disposizioni del Summorum Pontificum e sotto la supervisione del vescovo locale, per contribuire a quelle comunità stabili che usano la forma straordinaria. Ma siccome la forma Estraordinaria non è parte integrante del patrimonio anglicano, essa non è propriamente utilizzata nelle nostre comunità. L'Ordinariato rimarrà concentrato sul portare i cristiani nella tradizione anglicana nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Inoltre, siamo lieti che la Chiesa ha disposto per l'uso continuo della forma straordinaria, in particolare come risposta pastorale ai cattolici tradizionali, e consideriamo tutto questo come una ben-ordinata sinfonia di lode alla Santissima Trinità. »
Mi risulta da fonte ineccepibile che ci sia da parte di Steenson, Hurd, e Chalmers una repressione in corso su quei sacerdoti dell'Ordinariato che avrebbero il coraggio di imparare o celebrare la forma straordinaria del rito romano. I sacerdoti interessati sono naturalmente spaventati, e non vogliono esprimersi pubblicamente, ma non equivochiamo, la guida dell'Ordinariato degli Stati Uniti allo stato attuale si è posta sia contro Summorum Pontificum che l'Anglicanorum coetibus. Ce l'ho da fonte certa che questa intimidazione, un abuso di potere, sta per essere riportata direttamente alle autorità romane. E la tesi che la Messa tradizionale in latino non ha alcuna incidenza sul patrimonio anglicano; questo mi ha semplicemente sbalordito. C'è solo una miopia da parte dell'Ordinario, o è ignorante della storia del cattolicesimo inglese?

Scrive, tra l'altro, in proposito Rorate Caeli:
[...] Dal momento che l'Ordinariato degli Stati Uniti è una parte della Chiesa latina, è assurdo e offensivo che il suo Ordinario sostenga che il « Messale Romano [di Paolo VI] terza edizione possa essere utilizzato », mentre la Messa tradizionale che, ai sensi del Summorum Pontificum può essere celebrata da un sacerdote nella Chiesa latina liberamente, « non è usata correttamente nelle nostre comunità ». La sua storia, come detto sopra, fa capire chiaramente che è appropriata in tutti i sensi della parola, sia per i cattolici dell'Ordinariato che per tutti quelli della Chiesa latina. [...]

«Lingua morta» a chi?

Dal Bollettino Salesiano di Aprile 2012 by blog Muniat intrantes Crux Domino famulantes : si tratta di un masso erratico, o di una realtà che può farsi strada nella Chiesa?

Don Roberto Spataro, sdb, insegna Letteratura Cristiana antica ed è il segretario della Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche dell’Università Pontificia Salesiana, denominata anche Pontificium Institutum Altioris Latinitatis.
50 anni fa
Il 22 febbraio 1962, Giovanni XXIII firmò la Costituzione apostolica Veterum Sapientia sullo studio e l’uso del latino, in cui auspicava, tra l’altro, la creazione di un Academicum Latinitatis Institutum.
Quest’ultimo verrà, poi, istituito da Paolo VI con la Lettera apostolica Studia Latinitatis del 22 febbraio 1964, affidando alla Società Salesiana il compito di «promuoverne la prosperità».

Don Roberto: dopo la direzione del “Ratisbonne” di Gerusalemme è contento di questo nuovo incarico accademico a Roma?
Certamente! Anzitutto, per un motivo personale, perché da sempre amo la cultura classica e per otto anni ho insegnato Latino e Greco nei Licei salesiani. In secondo luogo, per un motivo culturale: colgo una continuità tra la teologia, che ho insegnato nel centro di Ratisbonne, e lo studio degli antichi scrittori cristiani, di cui mi occupo attualmente. Sono essi che hanno elaborato le prime sintesi teologiche e che hanno conferito alla teologia un’identità scientifica e sapienziale.

Quali sono i numeri? Ci sono molte iscrizioni?
Sin dall’atto di fondazione, il nostro Istituto si pone come un centro di studi di specializzazione. Di conseguenza, più che la quantità delle iscrizioni occorre curare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Conforta sapere che tra i nostri exallievi, alcuni sono rinomatissimi professori universitari o specialisti presso la Santa Sede e le diocesi. In genere, ogni anno, gli studenti dei tre cicli ammontano a cinquanta, anche se abbiamo attivato un processo per aumentarne il numero.

La tipologia degli allievi: chi sono questi coraggiosi che vogliono imparare la lingua di Cicerone? Ci sono anche stranieri?
Ci sono ecclesiastici, inviati dai loro Superiori, destinati all’insegnamento del Latino, del Greco e della Patristica presso seminari e studentati religiosi; poi ci sono altri studenti, prevalentemente laici, che amano la cultura classica e quella antico-cristiana. Per questi ultimi, allora, svariati sono gli sbocchi professionali: dall’insegnamento alla collaborazione con case editrici.

Ci sono anche stranieri?
Poiché la nostra è una facoltà del Papa, è, per sua natura, internazionale. E così abbiamo studenti dell’Europa orientale, africani, nordamericani, e persino cinesi!

Parlare di latino oggi non è molto attuale. Il latino rientra nella categoria “lingue morte”.
L’espressione “lingua morta” attribuita al latino è solo una banalità. Nessun filologo serio la considera tale perché, anche quando ha cessato di essere la lingua-madre della gente alla fine del mondo tardo-antico, il latino ha continuato ad essere una lingua scritta e parlata fino al secolo XIX da tutti gli uomini di cultura, compresi fisici e matematici. Era la lingua ufficiale anche di parlamenti nazionali, come quello ungherese o croato. Può essere, inoltre, considerata “morta” una lingua che continua ad essere studiata da moltissime persone in tutto il mondo? È morta una lingua lo studio dei cui testi alimenta pensieri nobili ed elevati? Inoltre, è la lingua supernazionale della Santa Sede, di molti umanisti che comunicano in latino, della liturgia che, celebrata in lingua latina, attrae un numero crescente di fedeli, soprattutto giovani.

Anche nella scuola media italiana c’è un ritorno dello studio del latino.
Il latino è una lingua molto piacevole da apprendere, ad una condizione: che si abbandoni il metodo che grava morbosamente nelle scuole, imposto dal filologismo tedesco a partire dal secolo XIX. Se insegnato, invece, con il ‘metodo-natura’ appreso in 150 ore, uno studente, senza eccessive fatiche e soprattutto senza noia, è in grado di leggere già i classici. C’è bisogno di una nuova generazione d’insegnanti che conoscano questo metodo e lo adottino con entusiasmo perché fa miracoli!

Quali sono in conclusione gli obiettivi che ancora oggi gli allievi e i docenti di questo Pontificium Institutum Altioris Latinitatis perseguono?
Lo scopo è molto chiaro: attraverso la conoscenza delle lingue antiche, latino e greco, desideriamo entrare a far parte di una res publica litterarum e dialogare con pensatori che, da 2500 anni, utilizzando o la ragione o la fede o entrambe, hanno elaborato una cultura di profondo spessore antropologico, etico, spirituale. Ed il mondo, smarrito come non mai in quest’epoca di crisi, ha estremamente bisogno di riappropriarsi dei valori di quell’humanitas, espressa, solo per fare dei nomi, da Sofocle, Platone, Seneca, Agostino, Tommaso, Erasmo da Rotterdam.

Perché la Santa Sede ha affidato questa Facoltà ai figli di don Bosco?
Perché anche in questo campo don Bosco è stato un pioniere! A Valdocco, ha promosso lo studio del latino e del greco con metodi che oggi vengono riscoperti come innovativi ed efficaci, cioè il metodo-natura: pensi che a Valdocco, e poi per decenni nei collegi salesiani, si rappresentavano commedie in latino con grande successo. Occorre riappropriarsi di tale patrimonio: aiuta i giovani ad essere migliori, amanti della verità, della bontà e della bellezza.

sabato 28 luglio 2012

Vaticano II valutato da Roma. Ma a porte chiuse...

Riprendo da Riposte Catholique di oggi:

Due riunioni discrete, la prima a Milano in marzo, la seconda in questo mese di luglio hanno messo insieme, con grande discrezione, alti prelati della Chiesa e rinomati specialisti laici, per una valutazione del concilio Vaticano II.

Abbiamo appreso che altre riunioni del genere sarebbero previste per i mesi venturi, e non tradiremo i nostri informatori segnalando che l'83enne cardinal Walter Brandmüller, già presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (1998-2009), è uno dei partecipanti a queste riunioni di valutazione dei documenti dell'ultimo concilio ecumenico, dal momento che il cardinale, nel corso di una pubblica conferenza, ha evocato i lavori in corso e nello stesso tempo aveva ricordato al suo uditorio che le dichiarazioni del concilio Vaticano II, come Nostra Ætate o Dignitatis Humanæ non avevano, secondo lui, alcun valore vincolante... [noi segnalavamo qui un suo libro]

Nessun prelato o intellettuale vicino alla cosiddetta « Scuola di Bologna » ha partecipato a questi lavori. E nemmeno alcun membro della Fraternità San Pio X...

Oltre a questa notizia, discretamente positiva, registro però due notizie di difficile decifrazione:
  1. Il rientro non si sa bene se "dovuto" o "voluto" al suo Convento di Londra di Padre Uwe Lang, non più Officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ma forse ancora Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Le notizie sono frammentarie, ma è un fatto che la Santa Messa Antica e la Sacra Liturgia perdono con lui, in Vaticano, un amico e cultore, uno dei pochi, uno dei suoi rari e coraggiosi difensori, per dirla con la nostra Luisa.
  2. Una osservazione di Caterina63 sul fatto che il Papa aveva promesso interventi dopo i tre anni da quel 2007 di quel Summorum Pontificum, ma non si è visto nulla: l'enorme mole di fatica sull'applicazione dello stesso è ricaduta sulle spalle di un esercito di fedeli volenterosi.... Vescovi attivati verso la normalizzazione del SP ancora non se ne vedono, e il Papa non ne parla più.... e c'è una frase dell'intervista di Müller sull'Osservatore Romano dell'altro giorno, assai inquietante, che dice:
  3. «..ritengo che il motivo della mia venuta a Roma non sia certo quello di gravarlo (al Papa) con le varie questioni. Il mio compito è di sollevarlo di parte del lavoro e non di presentargli problemi che possono essere risolti già al nostro livello. Il Santo Padre ha l’importante missione di annunciare il Vangelo e di confermare i fratelli e le sorelle nella fede. Spetta a noi trattare tutte le questioni attinenti meno piacevoli, affinché non venga gravato di troppe cose, pur venendo naturalmente sempre informato dei fatti essenziali ».
    Il Papa sta abbandonando il controllo diretto di certe questioni? Forse non è così e poi forse è un fatto che rientra nella norma. Resta solo da vedere con che metro vengono valutate le questioni "meno piacevoli"; c'è solo da attendere ciò che vedremo delinearsi prossimamente, a partire dalla questione con la FSSPX

La PRIMA Riforma Liturgica di Bugnini: le rubriche del Messale Romano del 1962, e del Breviario Romano 1961, sono conformi alla Tradizione?

Perché non riprendere serenamente e approfondire una delle più importanti questioni che più appassionano la Tradizione?

Abbiamo in questi giorni con profitto parlato del Magistero che DEVE essere conforme alla Tradizione immutabile Divino Apostolica di Gesù e degli Apostoli: LEX CREDENDI. Perchè non parlare della Liturgia: LEX ORANDI, di come questa sia cambiata e non certo con il Concilio Vaticano Secondo?

Per la categoria liturgica (così come è stato fatto per il Magistero) perchè una riforma sia genuinamente cattolica si deve o non si deve parlare di legittimo progresso, di maturità di omogeneità di questa che è una legge Liturgica Universale? o si può "cambiare", manomettere e sovvertire, perché "ce lo chiedono i tempi"?

Riprendendo da un altro studio postato vorrei riproporvi questo quesito:

La prima Riforma Liturgica di Bugnini: le rubriche del Messale Romano del 1962, e del Breviario Romano 1961, sono conformi alla Tradizione?

Ovviamente parliamo della Liturgia Latina tradizionale. Il motivo generale di tante cose strane della Liturgia Romana Tradizionale è che nessuno mai si prese la briga di concepirla razionalmente, ed è proprio questa la vera forza del Rito stesso! Il Rito Romano nasce come ripresa consuetudinaria di riprese consuetudinarie, tagliate e riadattate e riproposte, di un nucleo tradizionale Divino-Apostolico trasmesso. Andando avanti così nei secoli si vennero a sovrapporre situazioni liturgiche che nessuno concepì razionalmente, ma che furono il frutto di rimaneggiamenti e sovrapposizioni. Questo è stato il criterio Tradizionale, che certamente non è un criterio razionale ma è pur sempre un criterio che deve essere accettato, condiviso e difeso, proprio perché Cattolico. [Cfr. di Mario Righetti, Manuale di Storia Liturgica, Libro III: La Liturgia Romana, 1944].

Le tappe dell'involuzione liturgica (cfr. La Riforma Liturgica 1948-1975 di Bugnini) in parole molto povere, sono:
-I salmi ri-tradotti del Breviario Romano detti di Bea, 1945 ma facoltativi.
-La nuova Settimana Santa (sperimentale per il Sabato Santo 1951 ma poi) obbligatoria 1953-1956 (con annessi e connessi di riforme di digiuni, messe vespertine ecc.), simile per certi versi a quella di Paolo VI.
*Rubriche semplificate del 1955.
*Edizione di un codice delle rubriche del 1960 per Messale e Breviario (che di fatto recepisce tutte le riforme degli anni '50)
*Totale soppressione di un buon numero di Ottave e di Vigilie, (ect.): tutte di tradizione antichissima.
*Edizioni tipiche del Breviario e del Messale: 1961-1962,  (che sono semplicemente la logica conseguenza dell'uscita del codice delle rubriche: io questi ultimi quattro punti lo considererei quasi una unica questione).
-Edizioni ad interim 1965-1968
-1969 Rito di Paolo VI, con le sue varianti tra cui il "rito" Neocatecumenale.

La Riforma quindi del 1961-62, fu una semplice RIFORMA DI TRANSIZIONE, come è ben spiegato nei particolari QUI, di matrice assolutamente giansenista, tra l'altro.

Si dirà che il Messale del 1962 è sostanzialmente identico alla Messale precedente. Sebbene il santorale sia pressoché identico la parte più importante, il nucleo di certissima Tradizione Apostolica fu violato. I novatori sapevano che se fosse passata la Riforma di Pio XII della Settimana Santa, si sarebbe da li a breve cambiato il tutto Messale, così come avvenne.
"Primo passo di tale riforma è stata l'opera del Nostro Predecessore Pio XII con la riforma della Veglia Pasquale e del Rito della Settimana Santa (Cf. S. CONGREGRAZIONE DEI RITI, Decr. Dominicae Resurrectionis, 9 febbraio 1951: AAS 43, 1951, pp. 128 ss.; Decr. Maxima redemptionis nostrae mysteria, 16 novembre 1955: AAS 47, 1955, pp. 838 ss.), che costituì il primo passο dell'adattamento del Messale Romano alla mentalità contemporanea." Tratto dalla Costituzione Apostolica Missale Romanum del Papa Paolo VI che promulgò il Messale rinnovato per ordine del Concilio Vaticano II, 3 aprile 1969.
Chi contesta il Messale Romano, a ragione o a torto, del 1969 :Bugnini 2.0, ingoia però Bugnini 1.0: 1962 senza colpo ferire, con il suo espianto più grave, con le sue soppressioni, semplificazioni, mutilazioni a casaccio.
Chi contesta gli Altari posticci apportati dalla Riforma del 1969: Bugnini 2.0, però dovrà sorbirsi il "tavolinetto" (che è molto più brutto) davanti all'altare, richiesto per la Domenica delle Palme dal Bugnini 1.0 (1953), dove, il sacerdote dà le spalle al Santissimo Sacramento per la prima volta.
Chi dice che "non si può parlare con Dio con la stessa lingua cui si parla al proprio cane": Bugnini 2.0, dovrà poi rispondere in italiano alla Rinnovazione delle promesse battesimali, sempre in italiano, proposte nel Sabato Santo dal  Bugnini 1.0 (1962).

Tutto quello che sarà il Messale del 1969 è  presente, seppur in germe, nel Messale del 1962.

Se vediamo, con stupore, che certo tradizionalismo 1962duista, che ha abbracciato il primo Messale e il primo Breviario di Bugnini, si domanda (o apertamente o sottovoce) se è valido e legittimo il secondo Messale di Bugnini.

Certo altro tradizionalismo invece se dà per certa la validità e la legittimità, pur con qualche legittima e pesante riserva, del secondo di Bugnini (e quindi della sua riforma in genere) continua però a mantenere viva e presente l'ultima riforma Liturgica conforme ed omogenea alla Legge Liturgica universale fedelmente tramandata, arricchita, ma mai violata del Concilio di Trento: le rubriche del 1952 della  Messale Romano editio VI iuxta typicam. Ultimo Messale (con le sue rubriche) ritenuto valido e legittimo tra l'altro dall'Oriente Ortodosso Cristiano. Un Esempio.


Il non parlarne, non risolve il problema. Siccome che so che tra i nostri più assidui lettori ci sono dei liturgisti che ben comprendo il problema, chiedo loro di farsi coraggio di intervenire per creare un pensiero, per sollevare una problematica che deve essere almeno conosciuta. Il "tanto nella mia Chiesa faccio quello che mi pare, tanto nessuno mi vede", non è un criterio liturgicamente onesto.


venerdì 27 luglio 2012

Memorandum sulla situazione attuale

Affermazioni del Blogger Silente, che meritano di esser estratte e tenute come Memorandum


Le attuali perplessità della FSSPX rispetto a un pieno "rientro" sono principalmente di ordine dottrinario e, solo in subordine, di ordine canonico e liturgico. Non si può chiedere a dei cattolici di ripudiare ciò che da sempre, in via implicita o esplicita, è stato creduto. La Tradizione è Rivelazione, anteriore persino alla Scrittura, inerrabile, immodificabile, eterna. È, semplicemente, Verità. Il Magistero ha l'obbligo di trasmetterla integralmente e fedelmente, altrimenti non è Magistero. È la Tradizione la vera, unica "pietra di paragone". Questa è Vera Dottrina, da sempre e per sempre.

Pertanto, non si può chiedere ai cattolici di credere nella libertà religiosa, nell'ecumenismo, nel "subsist in", nell'inesistenza del Sacrificio nella Messa, nella nuova giudeologia, nel relativismo e nelle altre impressionanti deviazioni conciliari e post conciliari. E quando dico "cattolici", intendo tutti, e non solo la Fraternità il cui ruolo, certamente provvidenziale, è comunque storicamente ed ecclesiogicamente limitato e transeunte. E le recenti, aberranti dichiarazioni di Müller, che sembrano addirittura dare veste dogmatica a tali deviazioni, contro ogni retta Dottrina e soprattutto contro la Tradizione, rappresentano un segno dei tempi che non va sottovalutato e andrebbe letto, con gli innumerevoli altri, non solo in un'ottica storica, ma metastorica. Andrebbero lette come oscure "controprofezie", tenendo presente una "teologia della storia", anche apocalittica, che la Chiesa modernista ha purtroppo smarrito. E anche questo è un segno dei tempi.

È Tradizionalista, cioè Cattolico, colui che crede nella Tradizione eterna, inerrabile, fonte della Rivelazione e anteriore alla stessa Scrittura, pietra di paragone del Magistero, che deve solo trasmetterla fedelmente e integralmente. Ha scritto il teologo Albert Lang: « La Dottrina sacra o della Fede viene annunziata dalla Chiesa perchè è divinamente rivelata e non è rivelata perchè annunziata dal Magistero della Chiesa. (...) Il Magistero non è la causa del carattere della divina Rivelazione (...) ma è solo uno strumento o un mezzo stabilito da Dio ». (Cfr. Magistero come luogo teologico Sì sì No no, anno XXXVIII n 2, 31 Gennaio 2012, pag. 1). Costui è Tradizionalista, cioè Cattolico. In quanto tale, non può credere fideisticamente nelle impressionanti deviazioni del concilio e del postconcilio, che smentiscono Verità dogmatiche precedentemente proclamate e credute.

Non è Tradizionalista, cioè Cattolico, chi proclama dogmatico il concilio e le sue affermazioni, che la Divina Provvidenza ha fatto sì che si proclamasse "non dogmatico". Infine, e mi si perdoni il salto nella miseria intellettuale contingente, non è Tradizionalista e Cattolico il modernista che, adeguandosi allo spirito dei tempi, rinnega le Verità proclamate. Per non parlare, perchè mi disgusta, di qualche neo-comunistello di sacrestia che ignora che "reazionario" è un'altra definizione di Cattolico e che essere "nostalgici" della Verità è l'unica via possibile per la Salvezza. Eterna e non eterna.

giovedì 26 luglio 2012

Dove è la verità? I media e la violenza: la testimonianza di Agnès-Mariam de la Croix

Avevo dato notizia dell'incontro e ora riprendo dal Sito del Servizio Informazione Religiosa (SIR)  questo resoconto:

“Con questa violenza non avremo neanche un grammo di libertà”. A dirlo, nel corso dell’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio nella sala Metodista di Roma, è stata madre Agnès-Mariam de la Croix, religiosa palestinese che vive in Siria, superiora del monastero Deir Mar Yacoub a Qara, nel governatorato di Homs.

La convivenza, “successo sociale che viene dal cuore”. “Vivo in Siria dal 1994, e la Siria, sotto il regime di Assad, aveva una sicurezza invidiabile, certamente per la repressione, ma anche per il tessuto sociale che viveva secondo un’alleanza, rispettando un patto. Che non è frutto di nessun regime, ma è esso stesso fondamento e sostegno del governo”, racconta la religiosa carmelitana, che da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e sostiene la causa del negoziato e della pace. “Damasco è la capitale più antica del mondo abitato, e la Siria è fatta da molte entità etniche, confessionali e razziali. Il problema della convivenza - spiega - non è politico, ma sociale: se una persona accetta l’altro non viene siglato un accordo politico, ma un successo sociale che viene dal cuore. Non è stabilito da nessun regime, ma dalle persone”. Oggi le grandi potenze hanno deciso di “fermare questo regime dimenticando il patto sociale che è origine e forza della convivenza nella società. Come se la Siria - prosegue - fosse un minorenne incapace di decidere per sé, e avesse bisogno di una nutrice. Intromettersi così nella vita di una popolazione è contro la legge delle Nazioni Unite: una nazione autonoma e indipendente ha diritto di scegliere per sé stessa la realtà e il futuro. È a causa dell’ingerenza degli altri - sottolinea - che la Siria vive una fase di drammatica fatica”.

Uno dei profanatori di Chiese
Se “il mondo racconta tutta un’altra storia”. E i mass media, secondo madre Agnès-Mariam, hanno grosse responsabilità: “Pensano a fare titoli altisonanti: indipendenza, libertà, democrazia. Tutti i mezzi di comunicazione del pianeta formano una sola voce per convincere che la realtà è quella che dicono loro. Ma è tutta una bugia, una manipolazione mediatica”, afferma. La verità “non è quella degli schermi tv o delle pagine dei giornali. Ci sono giornalisti che ammettono di non poter raccontare quello che vedono. C’è in atto un’influenza totalitaria per fare di tutti noi un solo pensiero. Certo, noi tutti vogliamo che i siriani vivano in democrazia, ma secondo una loro scelta. E comunque questa guerra non è per la democrazia, ma per il gas. La Siria è più ricca di quanto si pensi, vicino al nostro monastero hanno scoperto uno dei giacimenti più grandi. Come religiosa – aggiunge - credo nella liberazione spirituale, nella possibilità di lottare per la libertà. Credo sia un dovere aiutare un povero che vuole la sua autonomia e non la avrà perché il mondo racconta tutta un’altra storia. Credo che bisogna essere testimoni veri della sfida del popolo vittima degli attentati”.

Chiesa profanata a Bustan al-Diwan
“Viviamo in una menzogna grandissima”. Madre Agnès-Mariam riferisce di aver visto con i suoi occhi “centinaia di civili uccisi da forze armate dell’opposizione. I banditi li prendono in ostaggio, e i mercenari provenienti da Libano e Giordania invadono le zone residenziali di Damasco: questo è contrario alla Convenzione di Ginevra, ma in migliaia entrano senza permesso, per fare la guerra. In quarantotto ore un milione di persone sono state costrette a fuggire da un quartiere ad un altro. Non sono i ribelli che posizionano cariche da un chilo e mezzo di dinamite, sono forze ben più potenti a farlo”. In grande pericolo, oggi, è la città di Aleppo: “non ha voluto partecipare a tutti questi mesi di sollevazione. Ma dal nord, vicino al confine con la Turchia, arrivano mercenari tunisini, libici, arabi, pakistani, libanesi, sudanesi e afghani: i mercenari vengono per distruggere, non sono certo un esercito di liberazione. Viviamo in una menzogna grandissima - aggiunge - dove si pagano migliaia di dollari perché ciascuno di noi ci creda. Ringrazio Dio che ogni giorno persone libere si alzano per dire quello che non è vero”. Il 90% del Consiglio nazionale siriano, che riunisce gran parte dei gruppi di opposizione, “non viene in Siria da trenta o più anni”. Quanto a Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, che appoggiano i ribelli, la superiora riflette: “La libertà non esiste in Arabia Saudita: io sono forse libera di andare in giro col mio abito, e con questa mia croce? Come è possibile che questo Paese, allora, dia orientamenti sul cambiamento della Siria? Come è possibile che lo faccia il Qatar, che ha solo pochi anni?”.

Convento di Santa Tecla
a Damasco
Un cammino verso la verità. “Mussalaha”, che vuol dire “riconciliazione”, è un movimento siriano nato dall’impegno della società civile e raccoglie aderenti di ogni etnia, fede e credo politico. Madre Agnès-Mariam, che sostiene il progetto, è fiduciosa: “spero nell’inizio della riconciliazione nazionale, nel rifiuto dell’uso delle armi. La speranza, oggi, per la Siria, è tutta riposta nel popolo siriano stesso, abituato a vivere nella diversità. Non è necessario insegnare ai cristiani d’Oriente come dialogare con l’Islam, perché questo accade da secoli”. Oggi i cristiani hanno paura che la tragedia di Homs si ripeta, ma “dire che sono stati appoggiati e privilegiati dal governo è una calunnia”, sostiene la religiosa, “perché, ad esempio, ogni imam veniva pagato dallo Stato, mentre i ministri di culto cristiani no. E poi nella Siria secolare i cristiani non hanno gli stessi diritti dei musulmani: un cristiano può convertirsi all’Islam, ma un musulmano non può essere registrato come cristiano”. Ad ogni modo la violenza, conclude la madre superiora, “non è un mezzo per fare niente, nemmeno in Siria. C’è un cammino da fare, certo. Ma poco alla volta la verità sarà più forte”.

mercoledì 25 luglio 2012

"Implicazioni dogmatiche" e Professio fidei. Quid?

Mi accorgo che per questa analisi ho messo molti riferimenti e quindi "molta carne a cuocere" , come suol dirsi; il che la rende impegnativa, ma spero anche fruttuosa. D'altronde, per avere un quadro abbastanza completo della questione e decifrare correttamente la realtà è bene aver presenti i diversi temi che si intrecciano e sono tra loro interconnessi.

Un nostro lettore, che spero continui questo percorso di approfondimento (si è identificato col nick Giuseppe ma sembra essersi già defilato), ci ha invitati ad approfondire la Professio fidei e la relativa Nota dottrinale della Dottrina della Fede, con questa esortazione:
"Implicazioni dogmatiche" [evidentemente riferito alla recente esternazione del nuovo Prefetto della CDF in una intervista alla Sudddeutsche Zeitung nella quale Mons. Muller, mentre da un lato nega che vi sia disaccordo di vedute fra Papa e Sant'Uffizio circa la Fraternità, dall'altro ribadisce addirittura che documenti come la "Nostra Aetate" avrebbero ..."implicazioni dogmatiche"] significa che su quei punti il magistero conciliare ha determinato degli sviluppi del dogma, una più approfondita e più chiara comprensione del depositum fidei, anche se non ha di suo "definito" dogmaticamente nessuna dottrina.
Gli è già stato osservato che il Magistero, se non infallibile (come non lo è quello del CVII), non può determinare (cioè definire) tantomeno un fumoso "sviluppo" del Dogma che appare un parente strettissimo della modernistica "evoluzione" del Dogma stesso, che invece è irreformabile e immutabile. Quel che evolve è solo la nostra comprensione personale, ancorata a quella ecclesiale, attraverso l'approfondimento della Fede e la conseguente sempre ulteriore 'conoscenza' del Signore.

Aggiungo che, se il concilio ha bisogno dell'ermeneutica della continuità, non può essere vincolante, almeno nei punti che non riprendono il Magistero precedente. E ciò appare di una logica inequivocabile. Ma è una logica che non trova posto nelle menti né nelle parole e neppure nei comportamenti dei pastori che applicano e impongono, agli ignari che non se ne rendono conto, i frutti dell'ermeneutica della rottura, travestita da "riforma nella continuità". Tra l'altro il problema è che la continuità è vista "nell'unico soggetto-Chiesa" (discorso del 22 dicembre 2005) e non nell'oggetto-Rivelazione inverato dalla Chiesa di ogni tempo. Occorre portare l'eternità in ogni presente della storia e non sottrarre la storia all'oggettiva feconda pregnanza della Verità eterna, che è da sempre e per sempre e non si evolve, ma ci è data perché siamo noi a doverci evolvere...
E quindi continua - apparentemente senza esiti (finora) - il dialogo tra sordi, che usano griglie di lettura della realtà diverse, perché il concilio ha cambiato anche i parametri di approccio alla realtà. E capita di parlare della stessa cosa alla quale tuttavia si danno significati diversi.
Lo dimostra l'uso disinvolto della espressione "implicazioni dogmatiche" da parte del neo Prefetto della CDF.
Tra l'altro la caratteristica principale di costoro è che sono abituati a sparare apoditticamente le loro affermazioni, senza mai prendersi la briga di dimostrarle! Ma non ne hanno neppure bisogno, perché il nuovo approccio e il nuovo linguaggio hanno sovvertito tutto ab origine...

Qui il testo della Professio Fidei, qui la Nota dottrinale illustrativa e qui una nostra precedente riflessione.
Notazione significativa: sia la Formula della Professio fidei che la nota illustrativa sono prodighe di numerose citazioni tutte tratte da documenti conciliari: il Concilio che cita sempre sé stesso. È la caratteristica costante, tranne rarissime eccezioni, di tutto il magistero post-conciliare...

Enucleo dunque dalla dichiarazione di Fede e dalla nota illustrativa i punti che ci lasciano perplessi. Cogliamo già un indizio poco rassicurante del Credo di Paolo VI.
«...Noi crediamo nell'infallibilità, di cui fruisce il Successore di Pietro, quando insegna ex cathedra come Pastore e Dottore di tutti i fedeli, e di cui è dotato altresì il Collegio dei Vescovi, quando esercita con lui il magistero supremo ».
A questo proposito cito un brano di un capitolo del mio libro riferito proprio alla "collegialità":
[...] La nuova ecclesiologia conciliare sancita da Lumen Gentium si armonizza con la “Pastor æternus” circa la giurisdizione universale del Romano Pontefice, però azzarda un avventuroso allargamento di questa mediante la dottrina della collegialità vescovile come organo di governo accanto e analogo a quello del Sommo Pontefice. Nonostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che « dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte ».
Lumen Gentium, al n.19 dichiara: « Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio...»
Non mancano perplessità se si pensa che il termine “collegio” per designare l'episcopato non ricorre né nella Sacra Scrittura né nella Tradizione della Chiesa antica. Apostoli vuol dire ‘mandati’: il Signore li manda due a due non in “collegio”... C’è anche da osservare che il “collegio” si fonda su una potestà giuridica e morale, mentre si diviene vescovi per via sacramentale, ovvero mediante un quid che è nel contempo fisico e mistico come l'unità della Chiesa. [...] (1)
Riporto qui la frase che precede immediatamente il Giuramento:
« Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio Episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo ».
Questo è ciò che ne afferma con efficacia e chiarezza Dante Pastorelli:
I documenti romani da un bel pezzo non brillan per chiarezza e precisione. Qui i redattori pongon sullo stesso piano Papa e Collegio episcopale, senza darsi cura di specificare che il collegio episcopale in tanto può insegnare in quanto è riunito sotto Pietro, per cui il potere nella Chiesa è unico, quello di Pietro che può esercitarlo anche insieme ai vescovi. La "nota praevia", sia pure con cautela curiale, ha chiarito il vero significato di collegialità.
Quanto al Magistero "autentico", esso non richiede adesione di fede, ma ossequio della volontà e dell'intelletto. Quest'adesione è da parametrare sul contenuo di questo insegnamento e sulla sua corrispondenza al precedente Magistero infallibile. Non si è fuori della Chiesa per l'esercizio legittimo della critica o espressione di perplessità nei riguardi di certe dottrine, specie se in materia puramente pastorale o su questo livello collocate. L'ossequio non è adesione totale e imprescindibile.  È doveroso per i cattolici avanzar richieste di chiarimenti che fughin le ombre, In mancanza, la coscienza guidata dalla retta ragione e la formazione ricevuta dal Magistero infallibile saranno il criterio per le nostre scelte.
La storia ci presenta pontefici e vescovi che erran nel loro magistero: come dottori privati, o con comportamenti, anche di resistenza alla Verità nella loro funzione pontificia e di omissione nel combatter l'eresia, ad esempio. Lo stesso può dirsi per il presente.
La Chiesa tuttavia resta "santa" perché il suo Capo è Cristo che ha promesso d'esser con noi sino alla fine dei secoli, è fondata sul sangue dei Martiri; ed è "santificatrice" perché, sola, essa può dare i mezzi di salvezza. E se a volte ci pare - a ragione - avvolta dal fumo di Satana, e se talvolta ci sembra allontanarsi dalla Tradizione, spesso più per equivocità di linguaggio che per sostanziale cambiamento di dottrina nella sua essenza, e per errori degli uomini di Chiesa, dubitare che in essa ci si possa salvare è negare la stessa possibilità di salvezza. Di Chiesa ce n'è una, e una sola.
Io in questa Chiesa, che pur nella sua gerarchia mi fa soffrire e mi pone laceranti domande, credo e resto. Certi guasti che lamentiamo se non oggi domani saran sanati. Non esiste altra Chiesa senza Pietro, per quanto peccatore possa essere e per quanto ondivagante sia il suo Magistero. Io non lascio mai correre, se li noto, questi limiti. Sino ad ora non mi sembra che si sia stati costretti ad accettar come Magistero infallibile dottrine incerte, discutibili od anche senza riscontro nella Rivelazione e nella Tradizione. [Questo sino ad ora sembrerebbe venir meno se si riveleranno vincolanti per la FSSPX e conseguentemente per tutta la Tradizione, le recenti dichiarazioni su riportate di Mons. Muller sulla dogmaticità di Nostra Aetate e Dignitatis Humanae. Qualche riflessione la riporto di seguito.]
Chi pensa che fuori "Roma" ci sia una vera Chiesa, sia coerente, specie se prete. I cattolici non possono non sforzarsi nell'ambito del loro impegno e preparazione di far sentire la loro voce. Se non l'ascoltano i vertici umani, l'ascolta Nostro Signore. Senza dubbio alcuno.
Questo afferma Padre Kolfhaus nella sua Relazione al Convengo sul Vaticano II (dic. 2010):
« Nei decreti e nelle dichiarazioni non si tratta dell’affermazione magisteriale di verità, bensì dell’agire pratico, cioè della pastorale come conseguenza della dottrina. Nella teologia manca un concetto per questo magistero pastorale […]. Non si può fare a meno di rimproverare a certi teologi "moderni" un atteggiamento conservatore, poiché essi non di rado guardano ai decreti e alle dichiarazioni del Vaticano II come a testi dogmatici, che definiscono "nuove" verità. Il Concilio stesso non voleva questo ».
Ed è proprio questo il grande problema che deve essere affrontato e risolto. È ora ineludibile mettere ordine e delineare le diverse terminologie per fare, innanzitutto, un distinguo fra magistero dottrinale, magistero disciplinare, magistero pastorale e dunque definire il Concilio pastorale, l’unico della Storia della Chiesa... Molto chiara la distinzione tra le diverse categorie di documenti, che potrete leggere nelle relazione linkata sopra, che ci riallaccia ai differenti "livelli" di mons. Gherardini. Prendiamo in considerazione anche l'efficace sintesi di p. Lanzetta:
« le principali dottrine del Vaticano II, quelle riguardanti il dialogo interreligioso, l’ecumenismo e la libertà religiosa, che sono poi quelle che hanno maggiormente catalizzato l’attenzione, non dovrebbero definirsi propriamente “dottrine” ma piuttosto “insegnamenti” (sono decreti e dichiarazioni) pastorali (come precisato dagli stessi padri conciliari) per i quali siamo ancora in ricerca di una categoria teologica per qualificarne il magistero, che sicuramente non è né dogmatico né disciplinare. Don Kolfhaus propone la qualifica di munus praedicandi: un insegnamento che, come ad esempio un’omelia, riguarda temi dottrinali, ma il tenore e la stessa proposizione sono di indirizzo eminentemente pastorale, vincolanti ma non infallibili ».
Per oggi ci fermiamo qui. Domani, o successivamente, inserirò gli altri punti che danno da pensare. Ma c'è già materiale per iniziare ad approfondire.
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1. Maria Guarini, La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, Ed. DEUI, 2012, p.240, Euro 21

martedì 24 luglio 2012

Cristianofobia islamista in Siria. Madre Agnès-Mariam de la Croix domani a Roma

Domani mercoledì 25 luglio, Madre Agnès- Mariam de la Croix, superiora del convento di Qara, a 90 km da Damasco, sarà a
Roma, in Via Firenze, 38, alle ore 18,30

per denunciare la situazione dei Cristiani in Siria e la difficile temperie, ignorata a livello mediatico, che quel paese sta attraversando. Parlerà nella Sala Metodista perché, sembrerà strano, ma a Roma nessuna Parrocchia l'ha ospitata.

Madre Agnès-Mariam de la Croix, è una religiosa Carmelitana che respinge ogni violenza, sia che provenga dal regime siriano o dagli insorti. “Se continua così, temo il peggio” non fa che ripetere. Intanto la Lega araba ha deciso al Cairo di continuare e rafforzare la missione degli osservatori, mentre ogni giorno si segnalano morti e scontri fra gruppi armati.

Questa donna coraggiosa ha scelto di battersi sui due fronti. Cerca di denunciare sia la disinformazione grave di cui si rendono colpevoli alcuni media, che informano sulla rivoluzione, e la barbarie del sistema che i siriani cercano di rovesciare. Questa neutralità è una posizione difficile da mantenere, e Agnès-Mariam è accusata da alcuni di fare il gioco della dittatura, accusa che rigetta totalmente.

Lei prevede un avvenire piuttosto cupo. Vuole credere che grazie al vento delle riforme ufficiali che soffia, qualche cosa possa muoversi. Ma ciò di cui è testimone adesso è la tormenta. Dopo aver accompagnato più di 16 giornalisti un po’ dappertutto in Siria, dopo aver visitato l’inferno di Homs, dove ha passato una nottata nei quartieri sunniti del centro, ostaggio delle bande armate, teme il peggio. La religiosa, che si dice “la voce di quelli che non hanno né voce né padrini internazionali” si rattrista perché il biasimo internazionale si dirige solo a una delle parti in conflitto e trascura l’altra. La violenza non è unilaterale, vuole sottolineare. “Questa violenza barbara e cieca che colpisce il popolo siriano è il primo nemico della rivoluzione e la migliore alleata di ogni dittatura”.
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[Fonte Chiesa e post Concilio]
Chi volesse saperne di più può approfondire su Asia News

Rorate Caeli sottolinea: «Vatican Insider sbaglia»

Leggo su Rorate Caeli di oggi e riporto di seguito. Non faccio commenti. Credo non ce ne sia bisogno. Comunque questa volta la scorrettezza pare davvero clamorosa e non è sfuggita alle attente sentinelle di Rorate. Cambiamento: Rorate aggiorna. Ora Tornielli ha rettificato e la «Svergognata distorsione di Tornielli» è diventato «Vatican Insider sbaglia».

Dalla relazione del 23 luglio di Andrea Tornielli sull'ultimo documento trapelato (e molto poco interessante) della Fraternità San Pio X:
Nella lettera inviata ai vescovi dopo il caso Williamson nel 2009, Ratzinger scrisse: «l'autorità magisteriale della Chiesa non può essere congelata nel tempo al 1962 - la Fraternità dovrebbe avere chiarito questo punto. Ma i lefebvriani che si pongono come grandi difensori del Concilio devono ricordare che il Concilio Vaticano II racchiude in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole obbedire al Concilio deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici che danno la vita dell'albero». Questa è l'essenza della riforma secondo il Concilio Vaticano II presentato da Benedetto XVI subito dopo essere stato eletto papa. Ma la sua proposta è finora caduta nel vuoto.
Dalla Lettera originale del Santo Padre del 2009 :
Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.
Sia il testo originale italiano del Vaticanista Andrea Tornielli che la sua traduzione in inglese (abbastanza precisa, come può esserlo una traduzione) trasforma le chiare parole del Papa - che sono parole di condanna dei novatori della discontinuità che fingono di essere i "grandi difensori del Concilio" - in parole contro i "lefebvriani" (parole che il Papa stesso non ha utilizzato). Questa è una delle parti più rilevanti della lettera papale perché rende chiaro ciò che il Papa stesso pensa: che, mentre coloro che sono in una "situazione irregolare" (i membri della Fraternità) non dovrebbero considerare la Chiesa "congelata al 1962", questo non è un problema diverso dalla posizione adottata da molti in una "situazione normale" (cioè, un numero enorme di sacerdoti e fedeli, un numero che supera di gran lunga tutti i cattolici di orientamento tradizionale), che accettano il Concilio come qualcosa di separato dalle radici della Chiesa, i 1960 anni che hanno preceduto l'assemblea del 1960. La conseguenza logica di questo argomento (anche se si considera che le due posizioni non sono esattamente paragonabili) è che non ha molto senso mantenere un gruppo con una visione parziale in una "situazione irregolare", mentre un gruppo molto più ampio con un altro tipo di visione parziale, vive perfettamente in una "situazione normale". Questa conseguenza, il fatto che vi è una grande ingiustizia irrisolta in tutta questa vicenda, pervade questa lettera e le azioni dello stesso Papa. Se una distorsione di questa portata può essere trovata in questo testo pubblicato, da parte di un uomo che ha accesso a molte stanze Vaticane, ci si chiede quante altre distorsioni, incomprensioni e disinformazione sono state avanzate in proposito da parte di coloro che lavorano per la disunione e con malizia nelle stanze nascoste e negli uffici.

lunedì 23 luglio 2012

Un sosta obbligata. Un'attesa piena di incognite.

Infine è arrivata: Tornielli ha dato ufficialità e la sua intepretazione alla fuga di notizie. Ma del resto se la sono voluta.

Non c'è più molto da dire, se non aspettare l'evoluzione degli eventi nell'ufficialità, fuori dalle delazioni interne e dalle illazioni.

E pregando... per la Chiesa TUTTA.

Il "discorso critico" che la gerarchia non vuol fare (finora)

Il libro di Mons. Gherardini oggetto della presente interessante recensione non ci è nuovo. Ma questa presentazione inquadra con dovizia di argomentazioni e chiarezza espositiva un tema che è il nostro pane quotidiano. Lo propongo per la riflessione che spero ci aiuti ad aprire nuove piste e a sviluppare ulteriormente la tematica. Del resto dovevamo tornarci su per approfondire, dopo avervi soltanto accennato, per notizia,  al momento dell'uscita del libro.

Nel presente saggio l’Autore spiega in modo chiaro ed esaustivo, evitando le polemiche inutili e limitandosi a puntualizzare sobriamente le inesattezze di certe superficiali critiche, i motivi per i quali ritiene suo dovere continuare il “discorso critico” da lui avviato sul Concilio Vaticano II  (1962-1965) a partire dalla sua monografia del 2009 (Concilio Ecumenico Vaticano II.  Un discorso da fare, Casa Mariana Ed., Frigento, 2009), già tradotta nelle principali lingue europee; seguita nel 2010 da un’altra non meno importante sul concetto di Tradizione della Chiesa (“Quod et tradidi vobis”. La tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Collana ‘Divinitas’ n. 4, Città del Vaticano, 2010).  La proposta del “discorso da fare”, rivolta in primo luogo ai vertici della Chiesa, pur destando ampio interesse in ambito ecclesiale e non, ha incontrato finora una diffusa quanto preconcetta ostilità da parte del fronte mediatico collegato all’ufficialità vaticana.  Il discorso “da fare” non è stato recepito, esso è “mancato”. Si tratta, allora, di ribadire i temi del “discorso [finora] mancato”. Essi riguardano tutti il significato da attribuire al Vaticano II, a cominciare dal suo famoso “spirito”.

Per comprendere lo “spirito” del Concilio bisogna innanzitutto mettersi nella giusta prospettiva, che non coincide, secondo l’Autore, con nessuna di quelle dominanti, tra loro contrapposte – come è noto – ed insofferenti di qualsiasi critica.  È infatti inaccettabile l’ermeneutica progressista della cosiddetta “Scuola di Bologna”, ufficiosa ma “seguita da non pochi uomini di Chiesa”, che vede nel Concilio una rottura radicale con “tutta la realtà ecclesiale precedente”, perché da esso “sarebbe nata una Chiesa nuova, rispetto alla quale inesorabilmente vecchia ed inattuale sarebbe la Chiesa tradizionale, quella delineata dai Concili del passato, soprattutto dal Tridentino e dal Vaticano I”. Ugualmente inaccettabile la trionfalistica interpretazione ufficiale, che porta in palmo di mano il Concilio quale “provvidenziale e tempestiva risposta della Chiesa al dialogo con la cultura imperante” e ai bisogni dell’uomo contemporaneo (Il discorso mancato, pp. 10-12).  Quest’ultima interpretazione non vede naturalmente alcuna frattura né contraddizione tra la Chiesa propugnata dal Concilio e quella di sempre, attribuendo solo agli eccessi del post-concilio la grave crisi imperante (ma l’anarchia nella liturgia, osservo, non cominciò già durante il Concilio, allorché si trattò di render operante la neo-approvata costituzione sulla riforma liturgica, nell’inverno del 1964?).

Affermò l’allora cardinale Ratzinger (nel famoso Rapporto sulla fede del 1985, intervista a cura di V. Messori) che chi invocava lo “spirito del Concilio” per demolire la Chiesa dall’interno era in realtà pervaso da un gegen-Geist, da “un contro-spirito conciliare” (nemico di quella che sarebbe stata l’autentica “ispirazione soprannaturale e tradizionale del Concilio”). Questo “contro-spirito” voleva imporre la propria visione, succube “delle correnti culturali più rivoluzionarie d’allora” (p. 21).  Per il cardinale, come per i vescovi “in genere” e per vari organi ufficiali e semiufficiali, se “il postconcilio era impazzito, il Vaticano II era l’espressione attualizzata di quanto era stato proclamato dai precedenti Concili” (p. 12).  Pertanto, la “riforma” impostata dal Concilio era da considerarsi in piena “continuità” con l’insegnamento della Chiesa.  Assurto al sacro Soglio, il cardinale avrebbe poi postulato coerentemente l’esigenza di una “ermeneutica della riforma nella continuità”. (C’è comunque da chiedersi – annoto – perché, in tutta la storia dei Concili ecumenici, solo al Vaticano II sia seguito un “postconcilio impazzito”, che mira a distruggere la Chiesa stessa dall’interno, e per qual motivo, solo per questo Concilio, si debba ricorrere ad una “ermeneutica” impegnata a dimostrarne la “continuità” con il Magistero precedente).

Secondo l’Autore, l’errore dei novatori (“bolognesi” o meno) è evidente:  non risulta che il Concilio volesse introdurre una cesura radicale con il Magistero precedente.  L’esigenza della accomodatio della dottrina e della pastorale alle istanze del mondo moderno, fatta valere dall’ “enigmatico” Giovanni XXIII quale causa eminente della convocazione del Concilio stesso, andava sempre compresa come esigenza da attuarsi in accordo con la dottrina tradizionale della Chiesa, non in antitesi ad essa (pp. 26-28). La volontà di mantenere quest’ accordo è stata, del resto, ribadita  anche nei documenti conciliari. Ma nemmeno soddisfa l’interpretazione ufficiale che di fatto “incensa” il Vaticano II “solo perché Concilio ecumenico”, che, “in quanto tale, non poteva contenere altro che l’insegnamento ufficiale della Chiesa:  un insegnamento sottratto, perciò, ad ogni discussione, assoluto, universale […] Proprio qui s’annidava l’errore della celebrazione ufficiale[…]”(p. 24). Questo “errore” è chiarito ulteriormente dall’Autore nel rilievo che i suoi due studi sopra citati, “hanno in comune con l’ermeneutica ratzingeriana la rilevazione ed il rifiuto del gegen-Geist” sopra descritto, quale unico autentico “spirito” del Concilio. “Le due pubblicazioni, tuttavia, non assumono l’idea che quel gegen-Geist avrebbe cancellato radicalmente, o avrebbe tentato di farlo, il vero “spirito” del Concilio. Si chiedono, anzi, paradossalmente e provocatoriamente se l’autentico “spirito” del Concilio non abbia praticamente colluso con il “contro-spirito”” (p. 26).

Collusione, dunque, di “contro-spirito del Concilio” con il vero “spirito del Concilio”. Questa è la chiave ermeneutica da sviluppare. Ciò che questa collusione o (se si vuole) commistione comporta per l’interprete, l’Autore lo spiega con la massima chiarezza:  di fronte alla gravissima e perdurante crisi della Chiesa bisogna finalmente avere il coraggio di operare – con l’avallo della Suprema Auctoritas – una “revisione e precisazione critica” (p. 80) del pastorale e non dogmatico Vaticano II per accertare se nei suoi testi, accanto alle affermazioni soggettivamente ed oggettivamente conformi al Magistero di sempre, non si siano infiltrate proposizioni ambigue e teologicamente sospette, che testimonierebbero appunto la presenza del suddetto “contro-spirito”.

Di queste infiltrazioni e dello spirito-contro che le anima, l’Autore offre ampia e ragionata sintesi. “I ragionamenti rigorosamente teologici sono quasi assenti nell’insieme dei documenti conciliari”, premette.  Durante il concilio, operarono quotidianamente vere e proprie “quinte colonne:  gruppi di pressione, conferenze di celebrati maestri, stampati di varia provenienza, una massiccia persuasione occulta per incrementar il vento di fronda e preparare le votazioni conciliari […] Il diritto di cittadinanza era riservato alla novità, le proposte di cambiamento si succedevano a getto continuo ed un non precisato rinnovamento, detto presto aggiornamento, diventava il criterio per valutare la bontà delle proposte stesse”, che non si rivelavano “in armonia con i princìpi che sino a quel momento avevano retto la Chiesa” (p. 32).  Le “quinte colonne”, ricordo, erano in genere costituite dai numerosi esponenti della nouvelle théologie, riprovati (sia pure moderatamente nella forma) da Pio XII ed immessi invece a sorpresa da Giovanni XXIII nelle commissioni preconciliari e conciliari quali consultori. “Edotti e persuasi, i Padri eseguivano. I documenti, animatamente discussi, venivan da loro riformulati in modo che le non poche innovazioni fossero supportate da riferimenti biblici, da precedenti magisteriali e da rimandi a qualche Padre della Chiesa. In apparenza e sul piano puramente formale, ciò era indubbiamente conforme al metodo teologico classico. Se ne discostava lo “spirito” che animava l’insieme. Quante volte, verificando quei riferimenti, ho dovuto constatarne l’approssimazione o la non piena corrispondenza. Nei confronti, pertanto, dei valori tradizionali, lo “spirito del Concilio” era esso stesso un gegen-Geist, prima che questo fosse diffuso da interessati commentatori.  Lo “spirito del Concilio” l’aveva contrapposto in genere a quanto la Chiesa aveva finora accreditato come suo pane quotidiano, in particolare ai Concili di Trento ed al Vaticano I; e fa davvero meraviglia la presenza di non poche frasi, disseminate all’interno d’alcuni documenti, soprattutto nei punti strategici dell’innovazione introdotta, per assicurar una consonanza fra ieri ed oggi, che di fatto non c’è. Son frasi intese a tacitar apprensioni e turbamenti, come, per esempio, l’affermazione: - di Lumen Gentium 1 sulla continuità delle sue tematiche ecclesiologiche e quelle dei precedenti Concili; - o di LG 18 che riproporrebbe la stessa dottrina del Vaticano I sul primato del Romano Pontefice; - o di LG 51 che farebbe propri gl’insegnamenti del Niceno II, del Fiorentino e del Tridentino circa le relazioni con i trapassati;  - o di LG 56 ed Unitatis redintegratio 15 circa il culto mariano; - o di UR 18 circa il pieno riconoscimento, da parte del Vaticano II, di quanto dichiarato e promulgato dagli altri Concili, e ciò non soltanto in campo ecclesiologico; -  o d’Optatam totius 22, che intende proseguire l’opera del Tridentino; - o di Dei Verbum 1 che aggancia il dettato del Vaticano II sulla divina Rivelazione a quanto fu dichiarato sulla medesima materia dal Tridentino e dal Vaticano I” (ivi, pp. 33-4. Sottolineature mie).

Una “consonanza” di dottrina che “di fatto non c’è”, dunque, e in non pochi casi, nonostante le ripetute dichiarazioni di fedeltà.  Queste le conclusioni cui è costretta a giungere l’acribia filologica (che si adorna, lo ricordo, del bimillenario motto: “Caesar non est supra gramaticos”).  Un rovesciamento generale della dottrina cattolica, allora, ad opera del Vaticano II?  Non proprio.  Piuttosto, il suo inquinamento (se così posso esprimermi) ad opera di una contro-teologia che i Capi non sono stati capaci di tenere sotto controllo né di combattere come si doveva.  “Non si pensi ad un capovolgimento generale, come se il Vaticano II avesse innovato l’intero complesso delle verità contenute nel Credo e definite dai precedenti Concilii;  la questione non è quantitativa, bensì qualitativa. Non per nulla si parla di “spirito” e di “contro-spirito” all’interno del Concilio.  Prima che su determinate materie, la rottura s’era effettuata sull’ispirazione di fondo:  era stato sentenziato l’ostracismo non ad una o ad un’altra delle verità rivelate e dalla Chiesa come tali proposte, ma ad un certo modo di presentarle, ad una metodologia teologica, che nel caso era quella della non più tollerata Scolastica, e con particolare accanimento contro il tomismo…” (ivi, p. 34).  L’ostracismo alle ardue ma cristalline argomentazioni di S. Tommaso, fondate sulla metafisica classica, veniva – sottolineo – da chi si inebriava alle fumose ma eccitanti pagine dei Blondel, dei Martin Buber, degli Heidegger, l’irrazionalismo dei quali (dal culto dell’azione a quello dell’utopistico e sincretistico “dialogo” tra fedi e valori, inseriti l’una e l’altro nell’attuazione del “progetto” esistenziale del cosiddetto Esserci dell’uomo, “aperto” a tutte le possibilità) spingeva di fatto a riesumare le pulsioni del modernismo, nessuna esclusa.  “Non so se proprio tutt’i Padri conciliari se ne rendessero conto, ma, obiettivamente parlando, il loro strappo dalla secolare mentalità che, fin a quel momento, aveva espresso la motivazione di fondo della vita, della preghiera, dell’insegnamento e del governo della Chiesa, stava riproponendo la mentalità modernista, contro la quale san Pio X aveva preso netta posizione nell’intento di ‘ricentrare tutto in Cristo’(Ef 1,10).  Anche questo, questo anzi in modo particolare, è gegen-Geist” (ivi, pp. 34-35.  Sottolineature mie).

Tale “contro-spirito”, che invece di “ricentrare tutto in Cristo” si preoccupava di instaurare una sorta di “culto dell’Uomo”, non poteva evidentemente restare confinato sul piano “puramente ideale”, nel regno delle intenzioni. Esso ha dato luogo “a rotture particolari, specifiche, su punti nevralgici della Fede e delle sue verità” (p. 35).  Uno dei testi maggiormente imputati in questo senso risulta esser da sempre la costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, alla quale l’Autore dedica quattro pagine, rilevando in particolare l’afflato antropocentrico (nient’affatto in continuità con l’insegnamento perenne della Chiesa) che la pervade (e che tracima nei famosi articoli 22 e 24).

Per ragioni di spazio, non posso ricordare le ulteriori “rotture su punti particolari ma nevralgici” della fede che compaiono in altri famosi passaggi conciliari, puntualmente richiamati dall’Autore; passaggi che inquinano per l’appunto quanto di dottrinalmente legittimo i testi dei medesimi documenti possono contenere (pp. 39-43).

Mons. Gherardini non sottovaluta certo le “responsabilità enormi del post-concilio”. Egli ricorda come sia stato lo stesso cardinale Ratzinger ad individuarle (p. 68) e come questo impressionante disordine morale e teologico post-conciliare derivi anche e soprattutto dalla latitanza dei vescovi, che lasciano fare (pp. 69-76).  Certamente il post-concilio è andato ben al di là del Concilio. L’opera di “revisione e precisazione critica” deve pertanto distinguere preliminarmente tra i due, dando a ciascuno il suo ma senza dimenticare che il post-concilio è pur sempre frutto del Concilio, rivelatosi un vero e proprio “otre d’Eolo” (pp. 76-80).  L’illustre teologo non chiede certo l’abrogazione del Vaticano II da parte del Papa. Più semplicemente, chiede che si cominci finalmente a separare il grano dal loglio nei documenti del Concilio. E questa sua più che legittima richiesta esprime sicuramente un’esigenza condivisa da una minoranza qualificata che si va ingrossando ogni giorno, com’è­ vero che ad ogni giorno che passa si aggrava la crisi spaventosa della Chiesa cattolica.

Quale premessa di carattere generale del lavoro di “revisione critica”, l’Autore sviluppa alla fine (pp. 81-96) alcune importanti considerazioni chiarificatrici sulla natura effettiva dei sedici documenti del mastodonte che è il Vaticano II:  quattro Costituzioni, 9 Decreti, 3 Dichiarazioni - 596 fitte pagine nella diffusa edizione in italiano delle Edizioni Paoline.  Costituzioni, Decreti e Dichiarazioni sono fonti che non possiedono la medesima autorità, anche se appartengono tutti ad un Concilio che deve considerarsi autenticamente ecumenico, data la validità della sua convocazione.  Essi “esprimon tutti un magistero conciliare”, che è di sua natura “straordinario” e “solenne”, da non confondersi con il “magistero ordinario” della Chiesa (p. 81).  Detto questo, bisogna però “distinguere la qualità dei suoi documenti, perché il carattere solenne del loro insegnamento né li mette tutti su un piano di pari importanza, né comporta sempre di per sé la loro validità dogmatica e quindi infallibile” (p. 82).

Ma le quattro Costituzioni, da sempre i documenti più importanti di un Concilio ecumenico, non mettono secondo molti il Vaticano II sullo stesso piano dei precedenti, dogmatici Concili (Tridentino e Vaticano I)?  Il paragone è improponibile, specifica l’Autore, perché le “constitutiones” del Vaticano II sono atipiche rispetto a quelle dei Concili precedenti. Esse, anche le due che si attribuiscono il titolo di “dogmatiche”, non ricorrono “al modello classico” della “costituzione”, modello “consolidatosi nel corso dei secoli come tramite della volontà definitoria della Chiesa”. Non vi ricorrono, anche perché il Concilio ha voluto esplicitamente escludere (come è noto) qualsiasi “intento dogmatico-definitorio, con il relativo modulo espressivo” (pp. 82-84). Ciò significa, in pratica, che “in nessuna delle sue quattro Costituzioni [comprese le due cosiddette “dogmatiche”] il Vaticano II ‘definisce come obbliganti per tutta la Chiesa’ [ossia come dogmi] i propri pronunciamenti dottrinali”(p. 84). Quando poi il Vaticano II richiama espressamente dogmi definiti da precedenti Concili, esso non diviene per ciò stesso integralmente “dogmatico”: “lo è semplicemente ed esclusivamente nella dogmatica irriformabilità ed infallibilità dei dogmi citati” (p. 86).

Queste precisazioni sono di fondamentale importanza, dal momento che non pochi insistono ancor oggi nel voler scorrettamente attribuire all’insegnamento del Vaticano II un valore dogmatico che non ha (e che non ha voluto espressamente avere), attribuendolo persino a documenti come i nove Decreti, nei quali l’istanza contingente dell’aggiornamento – sottolinea l’Autore – si rende specialmente palese (p. 87).  Come si possa poi pretendere di inserire “il non sempre provvido aggiornamento conciliare” tout court nel Magistero (dogmatico) della Chiesa, non si riesce a comprendere – chiosa l’Autore – se si pensa ad esempio che l’art. 13.2 del decreto Presbyterorum ordinis sul ministero e la vita sacerdotale, echeggiando la costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa, art. 28.1, “colloca intenzionalmente il ministero della parola al primo posto degli uffici presbiterali”, modificando ed anzi ribaltando l’insegnamento tridentino, per il quale la funzione primaria del sacerdozio cattolico è, come si sa, “ad conficiendam eucharistiam”:  la Consacrazione dell’Eucaristia (p. 87, 88).

Nella breve Conclusione finale (pp. 97-106), l’Autore ricorda, infine, che S. Paolo ha esortato “i cristiani dell’Urbe a render a Dio il famoso rationabile ossequium – Rm 12, 1” (pp. 97-98).  Ciò significa che “la verifica storica e teologica” di documenti pastorali approvati dal Romano Pontefice (come sono quelli del Concilio) è perfettamente legittima e non contraddice affatto la fede (p. 97).  Così come è perfettamente legittimo esprimere, senza venir meno “al dovuto rispetto”, la profonda insoddisfazione del credente e dello studioso per lo spirito del tutto acritico con il quale gli ultimi Pontefici hanno senza posa riproposto l’insegnamento del Vaticano II, come se si trattasse di un Concilio assolutamente dogmatico, scaricando interamente sul post-concilio la colpa della crisi della Chiesa, e contribuendo in tal modo ampiamente alla “volgata” ostinatamente celebrativa che da cinquant’anni tiene banco (pp. 99-102).
Paolo Pasqualucci
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[Fonte: Riscossa Cristiana]

domenica 22 luglio 2012

La Pontificia Università del Perù non più Pontificia né Cattolica.

L'11 luglio scorso, con Decreto della Segreteria di Stato, la Pontificia Università Cattolica del Perù, la cui mission è stata completamente sovvertita dai Teologi della Liberazione, non è più né Pontificia né Cattolica. [Riprendo da Rorate Caeli]

La notizia, di per sé già importante, perché mostra uno dei rari interventi della Chiesa per ripristinare un ordine infranto, diventa ancor più significativa perché aggiunge una 'perla' alle già numerose benemerenze teologiche e comunicative di Mons. Müller, che in quel contesto era di casa, ricevendone anche una Laurea honoris causa, quando anche allora pare che l'università fosse sotto inchiesta per la sua disobbedienza alla Verità cattolica. In fondo accettarla è stato come dire: non vedo un problema qui! Ed ora Mons. Gerhard Ludwig Müller è stato nominato alla guida della Congregazione cattolica per la Dottrina della Fede presso la Santa Sede ...

Un custode della Fede esemplare, non c'è che dire, molto facondo e in termini apodittici nelle numerose interviste che rilascia, nella più recente delle quali (sabato scorso alla "Sueddeutsche Zeitung") ha dichiarato: che
« ...il Concilio Vaticano II è obbligatorio per un eventuale accordo con l'ultra-conservatrice Fraternità San Pio X. Le dichiarazioni del Concilio relative alla libertà di religione, all'ebraismo e ai diritti umani hanno implicazioni dogmatiche. Non si possono rifiutare, senza compromettere la fede cattolica ». [v,, sull'argomento, questa riflessione]
Questa nuova perla aggiunta ai suoi già noti scritti contenenti affermazioni dottrinali non propriamente cattoliche, nonché le esternazioni nettamente avverse alla Tradizione, della quale è ora un interlocutore ineludibile, ci lascia ancor più sgomenti. C'è chi vede in questa nomina uno spartiacque rispetto alla situazione precedente già di per sé difficoltosa per la Tradizione e che rischia di essere compromessa, salvo un intervento diretto del Santo Padre, dall'ultima graffiata di Levada &. C. del 13 giugno.

Che Dio non voglia. E, comunque, affidiamoci e vedremo...

sabato 21 luglio 2012

Santa Sede - FSSPX . In attesa di notizie ufficiali e del nuovo incanalarsi della vicenda

Purtroppo ancora una volta circolano informazioni sulle recenti vicende Santa Sede - FSSPX in seguito alla solita "fuga di notizie" cui si è prestato TradiNews.

Come ha già fatto Rorate Caeli scegliamo anche noi la linea della discrezione, che romperemo soltanto - sperando che non accada - se le solite voci non amiche, ma fortemente avverse dovessero levarsi dal web o altrove e la questione non diventi di dominio pubblico. Nel qual caso la nostra traduzione e conseguente analisi è già pronta.

Continuiamo ad attendere pregando e, soprattutto, sperando che sia finalmente il Santo Padre a dire la sua parola conclusiva e risolutoria su questa dolorosa vicenda, chiudendo una buona volta le gole minacciose dei lupi che tentano di soffocare, insieme alla Fraternità, tutta la Tradizione!

venerdì 20 luglio 2012

Cristina Siccardi recensisce « La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II », di Maria Guarini

Condivido con gioia la recensione del mio libro, che ho visto pubblicata da Cristina Siccardi sull'ultimo numero di Corrispondenza Romana.

Nel 1985 uscì un libro-verità, Iota unum, che venne subito soffocato; ma che, come accade ai capolavori, è riuscito a stare in piedi di forza propria fino ad oggi, che nel panorama attuale, dove il Concilio Vaticano II non è più un totem da adorare, è diventato una fonte essenziale per tutti coloro che studiano in maniera critica l’Assise, nella quale venne allontanata, nei modi e nell’insegnamento, la Tradizione. L’autore è il filosofo Romano Amerio (1905-1997), che ha lasciato, per ragionamenti e forma espressiva, un lavoro di raffinato ed approfondito scavo nella rivoluzione che fu protagonista nella Chiesa fra il 1962-1965.

A mantenere viva la sua memoria e le sue opere è stato ed è lo studioso Enrico Maria Radaelli, devoto discepolo del filosofo luganese, che nel 2009 ha dato nuovamente alle stampe Iota unum, grazie all’editore Lindau di Torino. Il 30 ottobre 2009 si tenne un convegno alla Biblioteca Angelica di Roma proprio su Romano Amerio, al quale parteciparono, oltre allo stesso Radaelli, Monsignor Antonio Livi, Don Curzio Nitoglia, Francesco Colafemmina e Maria Guarini, « una donna di Fede e di scienza », come la definisce Monsignor Brunero Gherardini nella Introduzione al libro La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II (Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae, pp. 238, € 21.00), « l’apis argumentosa che cerca, studia, spiega e lancia ai quattro venti, con la costanza dei forti, i frutti della sua intelligenza, del suo studio, del suo impegno per la sana dottrina e la Santa Madre Chiesa ».

Maria Guarini, responsabile, fra l’altro, di un importante sito Internet, Chiesa e postconcilio, dal quale combatte con eleganza e puntualità, una coraggiosa battaglia a difesa della Fede e della Tradizione, ha raccolto i contributi di quel convegno nel volume sopracitato, ma ha anche ampliato alcune tematiche di grande interesse attuale che usciranno dal coro di applausi che fra poco ascolteremo quando, da ottobre, inizierà il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Maria Guarini parte dall’approccio multidisciplinare che Romano Amerio utilizzò nel redigere la sua opera per aprire nuove piste di analisi di ciò che significa difendere la Dottrina e trasmetterla correttamente.

L’autrice parla apertamente di riforme travestite da aggiornamenti e «“nuovi metodi” di iniziazione» che hanno rinnegato, con sfregio e spregio, la viva Tradizione, spacciandola, spesso, per «Tradizione vivente», ovvero evoluzione di ciò che per quasi due millenni si è tramandato. I principi si sono adeguati al moderno modo di sentire e le variazioni sono penetrate ovunque, nel culto, nella vita sacramentale, nella testimonianza, variando così l’etica comportamentale delle persone e relativizzando il loro pensiero. Si è voluta una Chiesa «dialogante» e non più «docente»; il linguaggio si è fatto fluido, ambiguo, perdendo il carattere di definitorietà; il timbro di monoteismo ha messo sullo stesso piano cristianesimo, ebraismo, islamismo e l’antropocentrismo ha tutto inghiottito…

L’attenta analisi del volume – dove sono elencate, con nomi e cognomi, alcune “sentinelle della Tradizione” e dove viene riproposta la supplica al Santo Padre di Mons. Gherardini e di alcuni studiosi ed intellettuali italiani affinché voglia promuovere un approfondito esame del Concilio Ecumenico Vaticano II – scava nelle variazioni di stampo antropocentrico che sono avvenute in un Concilio che Giovanni XXIII e Paolo VI collocarono in un ambito pastorale e non dogmatico-definitorio.

Un Concilio è della Chiesa, ma non è la Chiesa e laddove vengono denunciati e focalizzati problemi, come questo libro e molti altri studi, convegni, saggi, articoli stanno realizzando (grazie anche ad un dibattito vivacissimo che si è esteso e si estende su Internet) è perché c’è bisogno di fare chiarezza e verità per risolvere i problemi e restituire ai ministri di Dio e ai fedeli l’autentica Fede. 
Cristina Siccardi

Il comunicato del capitolo generale della FSSPX smentisce tutti i pronostici avversi

Il comunicato del capitolo generale della FSSPX smentisce i pronostici di coloro che si aspettavano che i lefebvriani sbattessero la porta in faccia alla Santa Sede. In questo modo avrebbero rifiutato categoricamente di riconoscere l'autorità del Sommo Pontefice. Invece le cose sono andate diversamente visto che nel comunicato è stata ribadita la disponibilità a ricevere un riconoscimento canonico dal Vaticano, ed è stato riconosciuto il ruolo insostituibile del Vescovo di Roma.  

Adesso la domanda che tutti si pongono è: che cosa succederà nelle prossime settimane? Continueranno i contatti tra Roma e Menzingen? Si troverà una soluzione ai problemi? Ci sarà la nascita della Prelatura Personale?  

Non sappiamo quel che accadrà, il futuro è nelle mani di Dio. Io continuo a sperare che si riesca a trovare un modo per dare uno status giuridico alla Fraternità, poiché troppo grandi sarebbero i vantaggi per il movimento tradizionale e per tutto il Corpo Mistico di Cristo. Anche Roma ci guadagnerebbe tanto, anche perché il baricentro ecclesiale si sposterebbe inevitabilmente verso la Tradizione, facendo perdere ulteriore influenza al fronte modernista, e accelerando il suo inarrestabile dissolvimento a cominciare dalla Francia.  

Per sbloccare la situazione, penso sarebbe opportuna una dichiarazione comune tra Roma e Menzingen nella quale vengano riformulate con un linguaggio più semplice le dottrine dibattute. Ad esempio per quanto riguarda la libertà religiosa esiste il diritto naturale a professare in foro interno ed esterno solo la verità (e quindi solo la Religione Cattolica), mentre non esiste il diritto naturale all'errore (cioè al peccato) né in foro interno (cioè all'interno della propria coscienza), né in foro esterno (cioè pubblicamente). Quindi i non cattolici hanno solamente il diritto a non subire coercizioni in foro interno, cioè nessuno li può obbligare con la violenza a “cambiare opinione”. L'errore non ha nessun diritto né ad esistere, né tantomeno ad essere proclamato e diffuso (come insegnato magistralmente da Pio XII nell'allocuzione “Ci riesce” del 1953). Però in certi casi l'errore può essere tollerato onde evitare sciagure maggiori.  

Per quanto riguarda l'ecumenismo possono essere adottate “azioni pastorali” atte a far riavvicinare i membri di altre confessioni cristiane alla Chiesa Cattolica fondata da Gesù Cristo, purché tali azioni pastorali rispettino i principi espressi chiaramente da Papa Pio XI nella memorabile enciclica “Mortalium animos” (fu un'enciclica principalmente dottrinale, non puramente pastorale). Qualcuno dirà che quell'atto magisteriale risale al 1928 e oggi i tempi sono ormai cambiati. Ed io rispondo: e che? Forse il Magistero è come lo yogurt che ha una scadenza?  

Se si riuscirà a formulare una dichiarazione dottrinale comune tra Santa Sede e Fraternità San Pio X, a guadagnarci non saranno solo i lefebvriani, ma tutti i cattolici, poiché vedo che su certe materie c'è molta confusione in giro.  
Fonte: Cordialiter

Non siamo arrivati a un «punto morto», ma a un «punto fermo»

Ricevo da Marco Bongi e pubblico, anche se ho visto che è stato ripreso da MiL, perché è una riflessione interessante e molto condivisibile, che i lettori possono trovare anche qui :

"Ed ora, finalmente, per quanto possano esserlo le vicende umane, un punto fermo è stato posto. La logorante e difficilissima vicenda della possibile regolarizzazione della FSSPX è giunta ad una situazione di apparente stallo.

Abbiamo taciuto e pregato fino ad oggi ma forse adesso è possibile formulare qualche semplice considerazione, senza temere di turbare equilibri delicatissimi.
Chi ha vinto?
Chi ha perso?
Non sono questi evidentemente i punti che possono interessare il semplice fedele cattolico.

Abbiamo tuttavia assistito ad una serie di avvenimenti, prolungatisi per circa un anno. Impossibile non osservare, impossibile non farsi, con tutti i limiti dovuti al fatto che molti elementi del "puzzle" rimangono ignoti, una opinione. È legittimo, credo, pensare visto che il dono della ragione ci è stato dato dal Creatore.
Ebbene... Chi esce meglio da questa interminabile vicenda quasi surreale?
Secondo me non ci sono dubbi: il Superiore Generale della FSSPX mons Bernard Fellay.

So che molti lettori non concorderanno con questa mia valutazione. Per questo cercherò di motivarla.

Nessuno potrà infatti accusare mons. Fellay di scarso senso della "romanità". Egli ha mostrato un amore verso il Papa e la Chiesa davvero commovente
Ha messo addirittura a rischio l'unità della Fraternità e, da un punto di vista cattolico, ciò è giusto.
Conta ben di più la Chiesa universale che una piccola congregazione religiosa.

Fino a quando non gli è stato chiesto esplicitamente di sacrificare qualche contenuto di Fede, egli giustamente ha creduto, ha sperato, è andato avanti.

Ripeto infatti quanto avevo già scritto in un mio articolo precedente: se il Papa, anche se non siamo sicuri della Sua Fede personale, lo può essere del resto solo Dio, mi chiede aiuto ed obbedienza, senza pretendere nulla di falso o cattivo, io ho il dovere morale di obbedire.

Dicendo ciò non intendo assolutamente affermare che il Papa abbia sempre ragione e non mi voglio, in alcun modo, mescolare a quei "conservatori" conciliaristi o papolatri. Esistono criteri oggettivi e possibilità reali per distinguere cosa sia e dove stia l'autentica Tradizione Cattolica.

Se comunque le autorità romane non avessero chiesto alcun sacrificio su punti di Fede, rimango convinto che la regolarizzazione andava doverosamente accettata.
Ma così non è evidentemente andata…Il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi!
Il voltafaccia del 13 giugno probabilmente deve aver fatto riflettere molto anche mons. Fellay.
Un segno della Provvidenza!
Cosa è veramente successo?
Ovviamente non lo sappiamo nei dettagli e probabilmente non lo sapremo mai.

La lettura più convincente, almeno per ora, ci fa pensare ad un Benedetto XVI fortemente condizionato, qualcuno si spinge addirittura ad usare il termine "ricattato".

Certo le possibilità rimangono sostanzialmente due ed entrambe assai preoccupanti: o il Papa la pensa come i suoi collaboratori della SC della Dottrina della Fede, ed allora effettivamente tutta la vicenda si riduce ad una tentata trappola, oppure, non mi sembra un peccato affermarlo, il Papa si è mostrato debole.

Ce ne sono stati tanti di Pontefici deboli nella storia della Chiesa. ci sono stati e ce ne saranno..., a cominciare da quel Clemente XIV che cedette alle pressioni politiche e sciolse la Compagnia di Gesù.

Ne escono male dunque il Papa e il Vaticano ma, per amore della Verità, bisogna anche ammettere che non hanno fatto una gran bella figura i cosiddetti "dissidenti" interni della FSSPX. 

Essi certamente appaiono, insieme ai progressisti ed ai conservatori, i vincitori della guerra. Ma le loro argomentazioni avanzate, fin dall'inizio, sono apparse pretestuose e basate su pregiudizi che non sono mai stati pienamente motivati, se non con argomentazioni prettamente umane.

La metafora di mons. Williamson, ad esempio, dell'innesto di un ramo sano su un albero malato, avrà forse un valore in botanica, ma non appare molto evangelica: il Vangelo infatti preferisce parlare di "lievito" che fa crescere la pasta e di sale che da sapore ai cibi ovvero... di piccole quantità di bene che possono cambiare il senso della storia.

Anche Galileo Galilei del resto, aveva avuto una buona intuizione sull'eliocentrismo, peccato che le sue argomentazioni, basate sul fenomeno delle maree, erano completamente errate.

I dissidenti dunque sono partiti immediatamente con un rifiuto aprioristico che non dimostra spirito autenticamente cattolico.
C'è infatti chi dice sempre "si si, si si" e chi, come questi ultimi "no no, no no".
Ma il Vangelo ci chiede invece di saper discernere e dire "SI SI, NO NO".
Così, almeno mi sembra, abbia fatto mons. Fellay e di ciò bisogna sinceramente rendergli merito".
Marco Bongi