Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 18 giugno 2017

La S. Scrittura e la collegialità episcopale - d. Curzio Nitoglia

È un tema già trattato [vedi - qui - qui] ma è sempre utile approfondire. Interessanti le riflessioni circa l'autorità episcopale affidata ad un unicum, cioè ad un soggetto uno e indistinto, piuttosto che ai soggetti distinti che compongono l'episcopato universale.

La dottrina cattolica

Secondo la dottrina cattolica tradizionale Gesù scelse Dodici Apostoli tra i quali elesse Pietro come loro Capo e conferì solo a lui l’autorità somma di pastore di tutto il gregge, di fondamento, di clavigero (padrone delle chiavi) della Chiesa universale e di sostenitore della fede degli Apostoli (cfr. L. Carli, La Chiesa a Concilio, Milano, Àncora, 1964).[1]

L’errore collegialista

Invece secondo i collegialisti[2] Cristo conferì l’autorità a tutti e Dodici gli Apostoli assieme, ossia collegialmente e non come soggetti distinti e a titolo individuale, bensì come ad un gruppo o ad un collegio in quanto tale in modo che esso possedesse necessariamente e costantemente diritti e doveri comuni distinti da quelli dei singoli membri e da esercitarsi sempre assieme in maniera collegiale.[3]

I versetti evangelici citati

Tra i testi evangelici che si citano a favore della collegialità episcopale i più seri sembrano quelli di Mt., XVI, 18: “Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa”; Lc., XXII, 32: “Io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli nella fede”; Gv., XXI, 15-17: «Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Egli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Di nuovo gli domandò : “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Gli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Per la terza volta gli chiese: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Pietro si rattristò perché egli aveva detto per la terza volta: “Mi ami tu?”, ed esclamò: “Signore, tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo. Gesù gli disse: “Pasci le mie pecore”».

Inoltre, i collegialisti, citano come se gli Apostoli avessero ricevuto collegialmente il potere di legare e sciogliere il testo di Mt., XVIII, 18: “Tutto ciò che voi legherete sulla terra, sarà legato in cielo e tutto ciò che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”.

Infine vi sono dei testi reputati dai collegialisti significare che gli Apostoli avrebbero ricevuto collegialmente la missione stessa di Cristo: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li  riterrete, saranno ritenuti” (Gv., XX, 23).

Occorre, quindi, esaminare i testi da vicino e vedere come la Tradizione patristica e la sana esegesi li ha commentati, confrontandoli con la interpretazione ufficiale del magistero.

Lo studio dei passaggi citati dai collegialisti

Matteo XVI, 18
“Beato sei tu, Simone Bar Jona: perché non la carne e il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa”. 
Qui  Simone, cui Gesù aveva già cambiato il nome in Pietro prima ancora dell’elezione dei Dodici (Gv., I, 42) riceve lui solo la promessa del primato sulla Chiesa universale e non solo sul collegio degli Apostoli o assieme ad essi.

Se si studia la pericope da vicino si vede chiaramente che Gesù si rallegra solo con Pietro della sua confessione e  chiama solo lui “beato”, ossia benedetto da Dio perché solo lui ha ricevuto da Dio una così eccelsa rivelazione.

Inoltre la confessione con la quale il solo Pietro ci ha mostrato di essere stato illuminato più di tutti gli altri Apostoli sulla Persona divina di Cristo, non può provenire dalle forze dalla natura umana, ma soltanto da una rivelazione soprannaturale fattagli da Dio Padre, perché “Nessuno conosce il Figlio se non  il Padre” (Mt., XI, 27).

A sua volta Cristo fa una confessione di fede solo a riguardo di Pietro, che ha una importanza capitale per quanto riguarda la divina costituzione della Chiesa e per ben capirne il significato occorre premettere che in aramaico (la lingua usata da Gesù) tra il nome proprio “Pietro” e il nome comune “pietra” non v’è differenza di genere maschile e femminile come invece la si trova in italiano ed inoltre entrambi si esprimono con la parola Kefas, che significa roccia, pietra, macigno. Quindi Gesù ha detto al solo Pietro
“Tu sei roccia e su questa roccia che sei tu, come sopra un fondamento, io edificherò l’edificio della Chiesa che è mia proprietà”.
Padre Marco Sales commenta: “La metafora usata da Gesù è facile ad essere compresa. Egli è l’architetto; la Chiesa è l’edificio da costruire, Pietro ne sarà il fondamento solido e inconcusso, che darà fermezza e consistenza a tutto l’edificio. Quindi Gesù promette immediatamente e direttamente al solo Pietro un primato non soltanto di onore, ma anche di giurisdizione su tutta quanta la Chiesa. Pietro sarà il capo e il pastore di tutti i fedeli che fan parte della Chiesa, il Principe degli Apostoli e il Vicario di Cristo stesso. Non è la fede di Pietro, ma la sua persona fisica[4] che sarà fondamento della Chiesa” (Vangelo secondo Matteo commentato da p. Marco Sales, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2015, p. 95, nota n. 18, Mt., XVI, 18).

Invece se si attribuisse, come erroneamente fanno i collegialisti, tutto ciò sia a Pietro sia agli Apostoli occorrerebbe attribuire abusivamente anche agli altri Apostoli la professione di fede fatta dal solo Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” a motivo della quale solo a Pietro Gesù dice “Sei beato Simone figlio di Giovanni” (Mt., XVI, 16).

Giovanni, XXI, 15-17
«Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Egli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Di nuovo gli domandò : “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Gli rispose: “Sì, Signore tu sai che io ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Per la terza volta gli chiese: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Pietro si rattristò perché egli aveva detto per la terza volta: “Mi ami tu?”, ed esclamò: “Signore, tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo. Gesù gli disse: “Pasci le mie pecore”».
Anche qui solo Pietro riceve la missione di pascere ossia governare sia gli agnelli (i fedeli) sia le pecore (i Vescovi).

Se si studia parola per parola, con padre Marco Sales, si evince che “Gesù domanda a Pietro se lo ami più degli altri Apostoli” (Vangelo secondo Giovanni commentato da p. Marco Sales, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2015, p. 122, nota n. 15, Gv., XXI, 15). Quindi è chiarissimo che la triplice domanda è rivolta solo a Pietro disgiuntamente dagli altri Apostoli perché Gesù domanda solo a Pietro se lo ami più di essi. Quindi non solo Gesù si riferisce al solo Pietro, ma lo disgiunge evidentemente e esplicitamente dagli altri Apostoli in quanto Pietro lo deve amare più di loro. “Con una triplice pubblica protesta di amore, Pietro deve cancellare la sua triplice negazione. Il ministero che Gesù sta per affidare al solo Pietro è un ministero di governo amoroso ed è giusto che il futuro Vicario o rappresentante in terra di Gesù proclami a tutti che egli ama Gesù più di ogni altro Apostolo” (Ibidem, p. 123, nota 15, Gv., XXI, 15).

Inoltre padre Sales spiega che quando Cristo dice al solo Pietro: “Pasci i miei agnelli” (Ivi) “Queste parole mostrano ad evidenza che oltre a ciò che è stato dato a tutti gli Apostoli (Gv., XX, 21), al solo Pietro viene conferita una speciale potestà sopra tutto il popolo cristiano. Infatti già nell’Antico Testamento il popolo di Dio veniva chiamato gregge del Signore (Salm., LXXIII, 1; Ger., X, 21; Ezech., XXXIV, 4). Così il Salvatore compie verso il solo Pietro la promessa fattagli (Mt., XVI, 17-19; Gv., I, 42) e lo costituisce capo visibile e pastore supremo di tutta la Chiesa” (Ivi). Per quanto riguarda il pascere sia gli “agnelli” che le “pecorelle” di Gesù  significa che “Tutto l’intero gregge di Gesù composto di agnelli (fedeli) e pecorelle (Pastori) viene posto sotto il governo e la direzione di Pietro. Pietro è il capo visibile della grande famiglia di Gesù; a lui debbono sottostare non solo i fedeli, ma anche gli stessi Apostoli. Siccome la Chiesa deve durare sino alla fine del mondo, il Primato conferito da Gesù a Pietro deve necessariamente passare nei suoi successori, i Romani Pontefici” (Ibidem, p. 124, nota n. 17, Gv., XXI, 16).

Infine giustamente nota padre Sales che nella pesca miracolosa al lago di Tiberiade (Gv., XXII, 1-14) gli Apostoli “erano assieme a Simon Pietro” (XXI, 1).Quando “Pietro dice loro: Vado a pescare” (v. 3) “Gli rispondono: Veniamo anche noi con te”. Compiuta la pesca miracolosa dietro l’ordine di Gesù, che stava  a riva non ancora riconosciuto, dopo non aver preso nulla durante tutta la notte, l’Apostolo Giovanni dice a Pietro che sulla riva c’è Gesù, allora Pietro per primo si getta nel mare e raggiunge la riva a nuoto ed è solo Simon Pietro a tirare a terra presso Gesù la rete piena di 153 grossi pesci”. Il padre domenicano commenta: “Giovanni per primo riconosce Gesù: ma Pietro, sempre ardente, primo si lancia nell’acqua per correre a Lui” (Ibid., p. 123, nota n. 7, Gv., XXI, 7); poi aggiunge: “In questa pesca miracolosa, nella quale la parte più importante è riservata a Pietro, i Padri hanno veduto raffigurato il potere supremo conferito al Principe degli Apostoli, sopra tutti i membri della Chiesa” (Ibidem, p. 123, nota n. 11, Gv., XXII, 11).

Inoltre solo conseguentemente a questi due episodi Pietro viene nominato capo degli Apostoli e ciò conferma il fatto che i poteri sopra datigli siano donati solo alla sua persona sulla Chiesa universale.

Luca, XXII, 32
“Io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno e tu, quando sarai convertito, conferma nella fede i tuoi fratelli”.
Quanto a questo testo si tratta più della promessa dell’infallibilità che non del primato, in forza della quale Pietro dovrà rafforzare nella fede i suoi fratelli. Queste parole trattano indirettamente il primato del Papa come presupposto necessario del suo magistero infallibile. Al “Confermatore dei fratelli” deve appartenere un potere di magistero e di giurisdizione su di loro. Inoltre l’infallibilità appartiene al Papa non in quanto capo del corpo dei Vescovi o a Pietro in quanto capo del collegio apostolico, ma, come definisce il Concilio Vaticano I, in quanto “avente funzione di pastore e dottore di tutti i Cristiani” (DB, 1839).

Se  si studia da vicino il testo di San Luca si nota che Gesù annunzia solennemente a Simone, chiamandolo due volte “Simone, Simone” (v. 31) per richiamare l’attenzione di Pietro. Poi annunzia che “Satana ha ottenuto con le sue insistenze da Dio la facoltà di  far subire violente tentazioni alla fede sua e degli Apostoli, come la ottenne da Dio di poter mettere a dura prova la fedeltà di Giobbe (Giob., I, 12). Ma se il demonio cerca di trascinare Pietro e gli Apostoli al male, Gesù prega il Padre per ottenere loro la sua protezione e assistenza. Si noti, però, che mentre tutti gli Apostoli son tentati, Gesù prega in particolare solo per san Pietro; il che suppone che la fermezza di Pietro e dei suoi successori nella fede mantenga fermi nella fede tutti gli altri. Infatti Pietro è il fondamento della Chiesa, il capo degli Apostoli e di tutti i fedeli e coloro che stanno con lui son certi che satana con tutte le sue arti non riuscirà a strappare loro la fede. L’oggetto della preghiera di Gesù è la stabilità o l’infallibilità di Pietro nella fede. Anche nelle tre negazioni di Pietro, egli non perdette la fede ma sentì mancarsi il coraggio per professarla pubblicamente.  E tu una volta ravveduto dalle negazioni, in cui presto cadrai, conferma, cioè rendi forti nella fede i tuoi fratelli (gli Apostoli). Siccome però il demonio in tutti i tempi sin sforzerà di far perdere la fede a tutti gli uomini, così è necessario che l’ufficio affidato a Pietro si estenda a tutti i tempi e si trasmetta ai suoi legittimi successori, la fede dei quali non potrà mai venir meno. Come potrebbe infatti il Pontefice Romano confermare gli altri nella fede se egli potesse errare nel definire le verità da credersi necessariamente per la salvezza? A ragione da questo passo di San Luca si deducono le grandi verità di fede del primato e specialmente dell’infallibilità del Papa definite dal Concilio Vaticano I (Costituzione de Ecclesia, cap. 4)” (Vangelo secondo Luca commentato da p. Marco Sales, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2015, p. 123, note n. 31-32, Lc., XXII, 31-32).

Matteo, XVIII, 18

“Tutto ciò che voi legherete sulla terra, sarà legato in cielo e tutto ciò che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”.
Se studiamo alla luce della Tradizione e della sana esegesi (rimpiazzata oggi dalla “nuova esegesi”, come la chiamava mons. Francesco Spadafora, o dalla “esegesi della situazione” come la qualificava mons. Luigi Carli) questo versetto vediamo chiaramente che “Gesù dichiara chi siano coloro che hanno potere di governare la Chiesa, ossia gli Apostoli ai quali viene esteso quel potere già concesso a Pietro (cfr. Mt., XVI, 19), senza però che si venga a detrarre nulla al primato concesso al Principe degli Apostoli” (Vangelo secondo Matteo commentato da p. Marco Sales, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2015, p. 103, nota 18, Mt., XVIII, 18)

Conclusione

Da questa breve indagine condotta sui testi scritturistici si può concludere con sufficiente certezza che non esiste una vera e propria Collegialità episcopale in cui l’Episcopato è un soggetto permanente e stabile di una suprema autorità di governo o giurisdizione e di magistero sulla Chiesa universale.
Anzi i testi evangelici esaminati ci consentono di affermare che i Vescovi, in quanto successori degli Apostoli, sono uniti tra di loro dalla stessa fede e dalla medesima comunione con la Prima Sede. In breve essi partecipano da Dio, ma tramite il Papa, il potere di giurisdizione e di magistero (non infallibile) nelle loro diocesi e solo se il Papa li vuole associare a sé, in Concilio ecumenico o sparsi nel mondo, a pronunciarsi su una definizione dogmatica partecipano pro tempore al suo magistero infallibile e alla sua giurisdizione sulla Chiesa universale.

Il primato di Pietro e la struttura dell’Episcopato monarchico universale petrino con un Episcopato subordinato diocesano sono garantite dalla dottrina tradizionale, mentre la collegialità episcopale recherebbe detrimento al primato di Pietro che è d’istituzione divina.

La Chiesa di Cristo fu fondata su Pietro, ma è stata affidata alle cure universali del Papa e dei Vescovi nelle loro singole diocesi, le quali concretizzano e incarnano il governo della Chiesa universale. Cristo ha voluto ed ha paragonato la sua Chiesa ad un “gregge” e lo ha affidato ad un gruppo di Dodici pastori, ma siccome tale gruppo, che nel corso della storia si sarebbe ampliato, passando dagli Apostoli a moltissimi Vescovi, non potrebbe mantenersi compatto senza un’autorità visibile centrale Gesù ha scelto Pietro come capo del collegio apostolico e i Papi come capi del corpo episcopale.

“Gesù ha voluto la sua Chiesa come un gregge di cui Egli è l’unico Buon Pastore; però, dovendo ritornare al Padre, Egli ha affidato il suo gregge a Pietro che ha costituito suo Vicario visibile in terra; ma, poiché Pietro da solo non può riuscire a pascere convenientemente tutto il gregge del Signore sparso in tutto il mondo, gli è stato messo a fianco, per divina volontà, un gruppo di collaboratori subordinati dei quali è il capo, che è l’Episcopato. […]. I Vescovi, successori degli Apostoli, rimangono pertanto esclusi dalla funzione di Roccia fondamentale nella costituzione della Chiesa” (L. Carli, La Chiesa a Concilio, Milano, Àncora, 1964, p. 266).

Come insegna e definisce il Concilio Vaticano I “Il Signore Gesù dette, dopo la sua resurrezione, ad uno solo cioè a Simon Pietro la giurisdizione di pastore e rettore su tutto l’ovile della sua Chiesa” (DB, 1822). Quindi Gesù ha conferito al solo Pietro (e non al corpo dei Vescovi o al collegio degli Apostoli) “un vero e proprio primato di giurisdizione  riguardo agli altri Apostoli sia presi singolarmente sia presi tutti assieme” (DB, 1822).[5]

“Il Papa tiene la medesima posizione e funzione di Capo e Fondamento, in maniera vicaria e visibile, che teneva Cristo tra i Dodici e che mantiene tuttora in maniera invisibile sulla Chiesa universale. […]. Anche nel corpo episcopale Pietro è il Fondamento, il Confermatore, il capo e il sommo Pastore” (L. Carli, La Chiesa a Concilio, cit., p. 272).

Possiamo terminare con il professor Albert Lang dell’Università di Bonn: “Il potere gerarchico della Chiesa è un potere monarchico, in opposizione ad un potere collegiale o oligarchico/aristocratico; il potere ecclesiastico non è affidato ad una autorità collegiale, ma viene esercitato da un unico titolare del potere” (A. Lang, Compendio di Apologetica, Torino, Marietti, 1960, pp. 260-261).
In un prossimo articolo, se Dio vuole, vedremo ciò che la Tradizione ha insegnato sull’Episcopato monarchico petrino e sull’Episcopato subordinato diocesano.
d. Curzio Nitoglia
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1. Cfr. G. D’Ercole, Communio, Collegialità, Primato, Roma, 1964; D. Staffa, De collegiali episcopatus ratione, in Seminarium, n. 15, 1962, pp. 643-652; Id., n. 16, 1963, pp. 62-78; H. Lattanzi, Quid de Episcoporum “collegialitate” ex Novo Testamento sententiendum sit, in Divinitas, n. 8, 1964, pp. 89-94; A. M. Vellico, De episcopis iuxta doctrinam catholicam, Roma, 1937. 
2. Cfr. K. Rahner, Primat un Episkopat, in Stimmen d. Zeit., n. 161, 1957, pp. 321-336; K. Rahner – J. Ratzinger, Episcopat und Primat, Friburgo, 1961; B. Botte, La  Collegialité dans le N. Testament, in Le Concile et les Conciles, 1960, pp. 1-18; J. Colson, Evangélisation et collégialité  apostolique, in Nouvelle Revue de Théologie, n. 82, 1960, pp. 349-372; Id., L’Episcopat catholique. Collégialité et Primauté, Parigi, 1963; C. Colombo, Episcopato e primato pontificio nella vita della Chiesa, in Scuola Cattolica, n. 88, 1960, pp. 401-434; J. Hamer, Note sur la collégialité épiscopale, in Revue de sciences philosophiques et théologiques, n. 44, 1960, pp. 40-50.
3. Cfr. T. I. Jiménez-Urresti, Del Colegio Apostolico al Colegio episcopal, in Revista española de Derecho canonico, n. 18, 1963, pp. 5-43; Id., La Collegialidad episcopal, Vitoria, 1963. 
4. È per questo motivo che la Chiesa visibile non può avere come suo fondamento un’entità astratta o logica come è il “papato materiale o in potenza”, ma deve avere un Papa in atto, in carne ed ossa che le faccia da base e la governi anche se il Papa dovesse cadere in eresia, in tal caso puramente ipotetico, 5. Domingo Bañez († 1604) spiega che potrebbe restare Papa poiché, se la mancanza di fede lo separerebbe dal corpo della Chiesa e la mancanza della grazia santificante dall’anima di essa, la giurisdizione, invece, non ne verrebbe scalfita poiché essa riguarda il governo della Chiesa, che è una società visibile e non può essere privata dell’autorità che la governa per la mancanza nel Papa di grazia o di fede, che sono abiti soprannaturali invisibili, mentre il governo o la giurisdizione di una società visibile debbono essere visibili. Quindi il Papa ipoteticamente eretico non sarebbe membro vivo della Chiesa per mancanza di grazia, non farebbe parte del corpo della Chiesa per errore contro la fede, ma ne sarebbe capo visibile quanto al governo o alla giurisdizione. “Il Papa non è capo della Chiesa in ragione della santità o della fede, perché non è così che può governare i membri della Chiesa, ma è capo di essa in ragione dell’ufficio ministeriale che lo rende atto a dirigere e governare la Chiesa mediante il governo esterno e visibile tramite la gerarchia ecclesiastica che è visibile  e palpabile. Quindi secondo l’influsso spirituale della grazia e della fede non è membro della Chiesa di Cristo, se non le ha, invece secondo il potere di governare e dirigere la Chiesa ne è il capo” (In IIam-IIae, q. 1, a. 10, Venezia, 1587, coll. 194-196). Charles-René Billuart (1685-1757) nel suo De Incarnatione (dissert. IX, a. II, § 2, obiez. 2) riprende la tesi del Bañez. Come pure padre Reginaldo Garrigou-Lagrange († 15 febbraio 1964) nel suo trattato De Christo Salvatore (Torino, Marietti, 1946, p. 232) riprende i due Dottori domenicani succitati. 
6. Cfr. S. Tommaso d’Aquino, IV Sent., dist. XXIV, q. III, a. 2 ad 3; M. Browne, De unitate Ecclesiae, in Symposium theologicum de Ecclesia Christi, Roma, 1962, pp. 7-24. 

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Martirologio romano 18 Giugno.
SS. Marco e Marcellino
A Roma sulla Via Ardeatina, nel cimitero di Balbina, ricordo dei SS. Marco e Marcellino, martiri, affratellati dalla medesima passione durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
S. Leonzio
A Tripoli in Fenicia, ricordo di S. Leonzio, legionario, che, dopo essere stato sottoposto in carcere ad atroci supplizi, portò infine a compimento il suo martirio.
SS. Ciriaco e Paola
In Africa, ricordo dei SS. Ciriaco e Paola, martiri.

Cirillo ha detto...

La collegialità non è altro che uno strumento in mano ai modernisti per introdurre l'eresia nella Chiesa, e viene utilizzato solo ed esclusivamente quando la maggioranza dei vescovi è a favore dell'eresia.

Ad esempio, Paolo VI introdusse comunque la Messa Novus Ordo (con una fretta del tutto ingiustificata) anche se il Sinodo Episcopale dell'Ottobre '67 rifiutò la nuova messa proposta. Dal Breve esame critico:

Nell'ottobre del 1967, al Sinodo Episcopale, convocato a Roma, fu chiesto un giudizio sulla celebrazione sperimentale di una cosiddetta «messa normativa», ideata dal Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.

Tale messa suscitò le piú gravi perplessità tra i presenti al Sinodo, con una forte opposizione (43 non placet), moltissime e sostanziali riserve (62 juxta modum) e 4 astensioni, su 187 votanti. La stampa internazionale di informazione parlò di «rifiuto», da parte del Sinodo, della messa proposta. Quella di tendenze innovatrici ne tacque. E un noto periodico, destinato ai Vescovi ed espressione del loro insegnamento, cosí sintetizzò il nuovo rito:

«[vi] si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto il sacrificio della Messa».

Nel Novus Ordo Missæ, testé promulgato dalla Costituzione Apostolica Missale romanum, ritroviamo purtroppo, identica nella sua sostanza, la stessa «messa normativa». Né sembra che le Conferenze Episcopali, almeno in quanto tali, siano mai state nel frattempo interpellate al riguardo.

Cirillo ha detto...

Un altro significativo esempio che mostra come la collegialità sia invocata solo ed esclusivamente quando la maggioranza dei vescovi è a favore dell'errore, ma non venga mai presa in considerazione quando l'episcopato universale si oppone all'eresia, è il seguente.

Come tutti sappiamo, sotto Paolo VI si introdusse la diabolica prassi di ricevere la Santa Comunione sulla mano, prassi confermata con decreti od omissioni da tutti i pontefici del post-concilio (entrò in vigore ufficialmente in Italia il 3 Dicembre 1989, sotto Giovanni Paolo II, anche se nei fatti tale prassi aveva già infettato tutte le chiese della Penisola).

Tuttavia, come riconosce la stessa Istruzione Memoriale Domini, l'episcopato universale si oppose decisamente a tale diabolica usanza. Infatti, alla domanda

Si ritiene opportuno accogliere la petizione che, oltre al modo tradizionale di ricevere la Comunione, sia pure consentito di riceverla in mano?,

l'episcopato rispose con

Sì: 567. No: 1233. Sì con riserva: 315. Schede nulle: 20 .

mic ha detto...

Quando mai nella Chiesa si fanno consultazioni e sondaggi a scopo decisionale?
Quando mai la verità sta nelle maggioranze?
Solo in questo momento di grave desistenza dall'autorità (diventata per contro autoritarismo) e dalla verità...

Anonimo ha detto...

AUTO INVASIONE SUICIDA

PER UN PUGNO DI VOTI IL PD CON LO IUS SOLI VARA UFFICIALMENTE LA "SOSTITUZIONE ETNICA" E CULTURALE DEGLI ITALIANI. SU SPINTA E CON L'APPLAUSO DI BERGOGLIO)
(Antonio Socci)

Anonimo ha detto...

A proposito di Ius soli.

Per la Cei pare indispensabile e rimbrotta chi non lo vuole e chi ha cambiato idea. E poi anche oggi le solite parole di Bergoglio su quanto sia bello e giusto accogliere tutti i migranti, senza limite.

Per la Lega replica anche Calderoli: "Cari vescovi, pensate agli italiani senza lavoro, casa e pensione dignitosa...e lasciate che sia il Pd a pensare a coltivarsi il bacino elettorale degli immigrati". E non ha torto.

http://www.corriere.it/politica/17_giugno_18/ius-soli-galantino-c-chi-ha-cambiato-idea-il-proprio-interesse-e38e9e2a-5419-11e7-b88a-9127ea412c57.shtml

Anonimo ha detto...

PER OTTENERE UNA BUONA MORTE
O Glorioso patriarca San Giuseppe, Protettore benevolo dei moribondi, mio speciale avvocato, per la felicità, per l’amore con cui serviste in tutto il tempo della vostra vita come Sposo a Maria, come Padre a Gesù, per i dolori che voi soffriste con tanta rassegnazione, per le allegrezze che riceveste con tanta umiltà da quel Dio che ora niente sa negare alle vostre domande, come sempre vi fu obbediente qui sulla terra, impetratemi, vi prego, una plenaria remissione di tutte le mie passate mancanze, e una volontà sempre pronta a meglio servirlo in avvenire, affinché vivendo sempre come voi nella virtù e nella santità, possa come voi meritare di essere in morte assistito da Gesù e da Maria, che in questo mondo vi fecero provare anticipati gaudi del Paradiso.
Vegliate sopra di me in tutto il corso della mia vita, come vegliaste sopra Gesù, quando tenero Bambino era affidato alle vostre cure.
Difendetemi da ogni assalto nemico, e non permettete mai che la morte mi colga in un punto in cui mi sia demeritato, con una condotta meno cristiana, la vostra protezione.
Cosi sia.

Gesù, Giuseppe e Maria – vi dono il cuore e l’anima mia.
Gesù, Giuseppe e Maria – assistetemi nell’ultima agonia.
Gesù, Giuseppe e Maria – spiri in pace con Voi l’anima mia.

Padre Nostro
Ave Maria
Gloria al Padre
Ave Giuseppe (San Luigi Maria Grignon de Monfort)

Ave, Giuseppe, uomo giusto, la Sapienza è con te.
Tu sei benedetto fra tutti gli uomini
e benedetto è il frutto di Maria tua Sposa fedele, Gesù.
San Giuseppe, degno padre putativo di Gesù,
prega per noi peccatori e ottienici la divina Sapienza,
adesso e nell'ora della nostra morte.
Amen!

Anonimo ha detto...

Dissento da Sales (modernista) e da Nitoglia (idem). Non è la fede di Pietro dicono? Ma è per la fede di Pietro "TU sei FIGLIO di DIO" che viene scelto a preferenza degli altri apostoli .

Anonimo ha detto...

Fede e Amore sono stati richiesti a Pietro prima di dargli il primato, scrive lo stesso estensore di questo articolo . Non ha preteso perfezione ma in chi fa un Vangelo diverso (sia anatema scrive SPaolo) non è fede e non è amore, a Cristo almeno. Il triplice mandato di Gesù è: pasci il popolo, pasci i sacerdoti, pasci i vescovi (pecore). Primato. Si tratta di capire dice il Magistero dov' è il Pastore dei Pastori e delle pecore, per uno che è pecora del popolo ovvero agnello.